CICLOAMATORI, di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 3/4/2011, 15:37     +1   -1




La voce modulata di Eros Ramazzotti si libera d'improvviso dalla radiosveglia. A fatica dischiudo una palpebre. Guardo nella direzione dell'orologio digitale. I led luminosi segnano le 6 e tre minuti. Salto giù dal letto e vado dritta in bagno. Ancora una volta sono maledettamente in ritardo. Mi sistemo sulla tavolozza del water e libero la vescica dalla pipì che la ingombra. Passo sul bidè e procedo a una rapida abluzione dei genitali, dopodiché mi avvicino al lavandino e mi risciacquo il viso. Niente trucco al viso, oggi.
Indosso la salopette e la maglietta da ciclistica mentre il forno microonde provvede a scaldare la tazza di caffè d'orzo che ho sistemato sul piatto girevole. Non indosso né il reggiseno né le mutandine, quest'ultime per evitare che il sudore mi provochi fastidiose irritazioni al soprassella.
Mi riempio lo stomaco con un sandwich di marmellata di prugne e ci bevo dietro la tazza di caffè d'orzo. Alle 6.20 sono a cavallo della bicicletta. Alle 6.35 ho già raggiunto il Circolo dei Dipendenti dell'Ospedale, nell'area sportiva dietro il Palasport, dove i miei compagni di squadra sono in attesa del mio arrivo per prendere parte al consueto cicloraduno domenicale.
Il serpentone di biciclette si mette in movimento, subito dopo il mio arrivo, lasciandomi poco tempo per scambiare qualche saluto con i miei compagni di squadra. Mi accodo al gruppo, in una delle ultime posizioni, al riparo dal vento, e proseguo a pedalare.
L'itinerario fissato dagli organizzatori del cicloraduno prevede l'ascesa al Passo del Cerreto. Il ritorno in città è previsto soltanto verso mezzogiorno. Non sono spaventata dalle difficoltà dell'itinerario di oggi anche se il percorso è tutto in salita. Ormai c'ho fatto il callo ai percorsi di montagna, anche se quello di oggi è particolarmente impegnativo e potrebbe mettermi in difficoltà.
Pratico lo sport della bicicletta già da un paio di anni e ho imparato a dosare le forze. Nelle salite mantengo costante il ritmo della pedalata, senza affaticarmi, certa di raggiungere la meta che mi sono prefissata senza mettere il piede a terra.
Quando la strada si fa più ripida la comitiva di cicloamatori si sgretola poco per volta e prendono forma dei piccoli gruppi. Alcuni compagni di ascesa giungono in mio soccorso e si alternano a spingermi, da dietro, facendo forza con le loro mani sulle mie natiche.
I più anziani del gruppo sono i primi ad arrendersi alle prime asperità della salita. Sotto il sole cocente continuo a pedalare verso il Passo del Cerreto insieme a Carlo, un medico che è solito scortarmi durante i cicloraduni. E' un tipo riservato, anche troppo timido, soprattutto con le donne.
Raggiungiamo Castelnovo né Monti verso le 10.00. Gli organizzatori del cicloraduno hanno collocato un punto di ristoro all'ingresso del paese. Mi rifornisco di bevande, frutta e cereali, dopodiché riprendo la corsa nutrendomi di carboidrati mentre pedalo.
Con l'approssimarsi del valico appenninico una leggera brezza proveniente dal mare ostacola la nostra arrampicata. Alle 11.00 Carlo e io raggiungiamo il Passo del Cerreto.
Al valico il cielo è plumbeo e incominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Nel volgere di pochi minuti la perturbazione si trasforma in un diluvio. Tuoni e fulmini accompagnano gli scrosci di pioggia insieme a delle folate di vento. Carlo e io ci lanciamo nella discesa verso Reggio Emilia decisi a fare ritorno in città al più presto, mentre altri nostri compagni trovano rifugio nello chalet ai bordi del lago.
Il bitume della strada, reso viscido dalla pioggia, è pericoloso. In due occasioni rischiamo di scivolare sull'asfalto e sfracellarci in uno dei tanti dirupi che costeggiano la strada statale.
- Carlo! Carlo! - grido affiancandomi a lui. - Appena scorgi un casolare o un qualsiasi altro riparo fermati. I freni della mia bicicletta non rispondono più.
- Va bene, faremo come vuoi tu. - strilla accompagnando la risposta con un cenno di assenso del capo.
La pioggia riempie d'acqua i canali di scolo ai lati della strada trascinando pietrisco e sabbia sul selciato. Continuiamo nella discesa sprezzanti del pericolo.
- Là... là... subito dopo la curva c'è un rustico con una barchessa, fermiamoci lì. - grida Carlo.
Nel tentativo di bloccare le ruote tengo premute le aste dei freni, ma la bicicletta continua a scivolare in avanti senza fermarsi. Una volta con i piedi a terra ci mettiamo a correre verso la barchessa spingendo le biciclette con le mani.
- Prima di riprendere la discesa, dobbiamo attendere che la pioggia diminuisca d'intensità. - dice Carlo mentre toglie il casco dal capo.
Lo imito e anch'io mi libero dei guanti sfregando le mani una sull'altra alla ricerca di un poco di calore.

La pioggia prosegue a cadere con maggiore intensità. La temperatura dell'aria è scemata e fa freddo. Inizio a essere percorsa da tremori in tutto il corpo.
- Siamo stati fortunati a trovare questa barchessa. Le balle di paglia sono un buon riparo anche dal vento.
- Sì, hai ragione.
- Spero che non ti scandalizzerai se mi tolgo la maglietta e la salopette. Con gli abiti bagnati corro il rischio di prendermi un accidente. Sai cosa faccio? Mi stendo sotto la paglia. Dai, gira il capo da un'altra parte mentre mi svesto. Non guardarmi, eh!
Levo di dosso pantaloni e maglietta inzuppati d'acqua e resto completamente nuda, dopodiché mi corico sulla paglia e mi copro con i fuscelli, elementi preziosi nel darmi tepore.
- Dai, spogliati anche tu. Mica avrai vergogna di me, eh! Vuoi congelarti? Dai, coricati qui accanto a me. - lo sollecito.
- Ti ringrazio, ma preferisco aspettare che finisca di piovere. E' solo una nube passeggera, vedrai che presto tornerà il sereno.
Lo sguardo di Carlo si perde lontano, in direzione del mare, oltre le montagne, nella speranza che la pioggia cessi al più presto.

Da più di un'ora sono al riparo sotto la coperta di fieno. Carlo se ne sta seduto sopra una balla di paglia e trema per il freddo.
- Adesso devi toglierti gli abiti bagnati! - lo aggredisco. - Non vorrai prenderti una polmonite!
Con riluttanza toglie la maglietta e resta con addosso la salopette.
- Beh, mica ti farai compatire? Hai paura nel mostrarti nudo a una donna? Togli anche i pantaloncini, dai!
Mi alzo dal letto di fieno e nuda gli corro incontro. Afferro le spalline della salopette e cerco di sfilargliele intraprendendo una impari lotta. I nostri corpi si arrotolano nella paglia con intenti diversi. Sollecitata dalle mie spinte la salopette si lacera sul davanti. Un lungo taglio divide il tessuto in due parti fino al pube e mette in evidenza i genitali di Carlo, se così si possono definire.
L'uccello di Carlo più che somigliare a un volatile, sembra una lumaca, tanto è piccolo e retratto: assomiglia a quello di un putto.
Dopo la scoperta mi sento imbarazzata. Mi avvicino a Carlo e gli accarezzo il capo. Gli sollevo il mento e deposito un tenero bacio sulle sue labbra. Ci ritroviamo abbracciati nel fienile mentre la pioggia continua a scendere tutt'attorno e sulla tettoia della barchessa.
Carlo sta in piedi di fronte a me con la schiena appoggiato al muro di balle di paglia. Afferro nella mano il delicato frutto che tiene custodito fra le cosce e con il sapiente lavoro delle dita metto allo scoperto la parte rosea della cappella.
Inginocchiata ai suoi piedi inizio a succhiargli l'uccello. L'oggetto di piacere è così corto e sottile che non so come fare a tenerlo stretto nella mano. Le dimensioni in piena tumescenza sono paragonabili a quelle del mio dito mignolo. Lo stringo, se così posso dire, con pollice e indice e comincio a masturbarlo inumidendolo con un poco di saliva.
Ho difficoltà nello scappellarlo completamente. Il frenulo appare completamente attaccato all'uretra, come quello di un bambino. L'emozione di questa scoperta mi eccita ancora di più. Sto masturbando il pisello di un ragazzino ospite nel corpo di un adulto. Non posso che benedire la pioggia che me lo ha fatto scoprire. Ho l'impressione di tenere fra le labbra un pezzo pregiato e forse unico, probabilmente nessun'altra donna prima di me ha avuto modo né di vederlo né di gustarlo.
Avrei voglia di chiedere a Carlo se ha avuto rapporti sessuali con altre donne, ma lascio perdere questo proposito. Sono eccitata, maledettamente eccitata, ma non voglio aumentare il ritmo con cui sto succhiando questo gioiellino della natura. Con la mano libera inizio a toccarmi il clitoride e godere della strana situazione in cui sono venuta a trovarmi.
Non capisco se il tremore che sta manifestando il corpo di Carlo è dovuto al piacere che sta provando o al freddo che c'è attorno a noi. Affondo la bocca sul pisello e ingoio anche le palle. Subito dopo riprendo a succhiare soltanto l'uccellino ripetendo il medesimo movimento più volte.
L'atto mi provoca una sensazione di piacere sconosciuta. Il cazzo lumaca, dalle dimensioni infantili, mi fa tornare indietro con la memoria a quando ero adolescente. Più lo succhio e più rivivo i dolci ricordi dell'infanzia, i primi pompini, le prime seghe eseguite ai miei coetanei di gioco. Lo spruzzo di sperma che mi arriva in bocca è pari alle dimensioni del suo uccellino. Ma il piacere che ho saputo trasmettergli è del tutto simile a quello di un uomo che ha un cazzo normale. Lo percepisco dal tremore delle gambe del mio compagno e dall'urlo che gli esce dalla bocca nel momento dell'eiaculazione.
Sto per succhiare le ultime gocce di sperma quando Carlo si svincola dal mio abbraccio. Indossa la maglietta bagnata, afferra la bicicletta e senza nemmeno salutarmi si lancia nella discesa che da Busana conduce a Cervarezza.
Dopo la sua partenza resto coricata sul letto di paglia e mi addormento. Mi sveglio quando è tardo pomeriggio. Il sole si è fatto largo fra le nubi e non piove più. Afferro la salopette e l'indosso insieme alla mitica maglietta del Dopolavoro Dipendenti Sanità, dopodiché salgo sulla bicicletta e prendo la strada di Parma.

E' trascorso più di un mese da quando Carlo e io abbiamo percorso la strada del Cerreto. Da allora non ho più avuto occasione d'incontrarlo. Continuo a partecipare ai cicloraduni traendo da questa pratica sportiva grande beneficio a glutei e cosce. Il mio lavoro in ospedale prosegue uguale, giorno dopo giorno. Vivo circondata dalla sofferenza e dal dolore, ma sono nata Farfallina e continuerò ad andare là dove mi porta il cuore.



 
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