Un giorno di feeding from feet, dal web

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<Jocker>
view post Posted on 14/6/2012, 22:25     +1   -1




Ero già pronto sul pavimento della camera da letto, prostrato a terra in sua
attesa, sentivo ogni suo passo, si stava avvicinando lentamente con passi solenni, sicuri, alla camera. Finalmente aprì la porta e si avvicinò ad un centimetro dal mio naso, bellissima come sempre, indossava una camicia ed una mini in pelle nera, delle calze velate nere, un fascio di luce illuminava i suoi stivali: neri alti fino al ginocchio con vertiginosi tacchi a spillo che mozzavano il fiato solo a vederli appoggiati sul paquet.
Per un attimo mi permisi di alzare lo sguardo e la vidi in tutta la sua imponenza: una statua di 1.80 m, atletica. Stette lì qualche secondo, con le gambe leggermente divaricate, osservavo ogni linea del suo stivale che custodiva stretto il suo piede all’interno; potevo solo guardarla perché non mi aveva dato altri ordini. Ad un certo punto disse: – seguimi, è ora. La seguii strisciando lentamente mentre entrava in cucina.
Per lei era già tutto apparecchiato sul tavolo, mentre a me disse: “tu mettiti li!” indicando col dito sotto il tavolo.
Una volta seduta continuò: ” bene ora lecca bene la punta dei miei stivali, mi raccomando devono brillare altrimenti…”e fece scivolare davanti al mio viso la punta di una cintura che teneva in mano. Iniziai subito mentre lei già cominciava il pranzo.
Dopo due minuti si guardò gli stivali per vedere se erano ben puliti e quindi continuò “ora leccali intorno, muoviti!”. Lo feci.
Di nuovo dopo due minuti vide come avevo lavorato…”ed ora lucida bene il collo dello stivale, questa volta ti darò 30 secondi” e ridendo continuò “tira fuori bene tutta la lingua, non fare lo schizzinoso”.
Questa volta temevo proprio di non farcela, ma la paura della sua punizione mi diede la scossa per muovermi.
Si guardò nuovamente gli stivali questa volta usando la mia faccia come piedistallo e, dopo un attento esame, disse dandomi delle pacchette di benevolenza “oh bravo, sono proprio belli puliti, ora puoi mangiare qualche cosa”; mi buttò a terra qualche suo avanzo; iniziai a mangiare, ma non era facile in quanto il cibo era ai suoi piedi che di tanto in tanto muoveva sfiorandolo, oppure accavallando le gambe o, ancora, li dondolava sul tacco. Con la pianta dello stivale sfiorava il mangiare ad un millimetro, a volte sembrava quasi vi si appoggiasse sopra, ma senza schiacciarlo.
Di tanto in tanto faceva sentire dei colpi secchi col tacco che batteva sul pavimento: era segno che dovevo dare una leccatina veloce, finchè con dei
calcetti mi allontanava il viso.
D’un tratto cambiando l’accavallamento delle gambe per sbaglio piantò il piede d’appoggio proprio sul mio cibo che si spiaccicò tutto sotto la suola, strabordando anche tutt’intorno al bordo dello stivale stesso: questo le seccò molto perché le si erano sporcati gli stivali che tanto amava “MA NON è POSSIBILE!” “STAI PIU’ ATTENTO” disse “ORA SONO COSTRETTA A PUNIRTI, CAPISCI?!?!”.
Inutili le mie suppliche, mi fece uscire da sotto il tavolo e, fermandomi bene di peso la schiena con un piede, mi diede cinque frustate ben assestate.
Si rimise a tavola e disse “bene ora continua a mangiare, dopo dovrai ripulirli.” E rimise lo stivale in pieno proprio sul mio cibo andando di tanto in tanto su e giù con la pianta, giocando come un bimbo che tira schiaffi sull’acqua nella vasca durante il bagnetto.
Dopo poco si alzò e mi ordinò di mettermi sotto la sua sedia a pancia in su con il ventre scoperto, si sedette calpestandomi, mi sembrava di sentire i tacchi che penetravano nel mio costato, non potevo fare a meno di gemere e muovermi come un verme che vuole liberarsi dall’amo.
Tenendo uno stivale sulla pancia con l’altro avvicinò la suola, facendo leva sul tacco, al mio viso più volte ma senza mai toccarmi (con gli occhi chiusi riuscivo appena a sentire il calore della sua suola imbrattata avvicinarsi alla mia bocca), finchè disse con tono calmo e distaccato “ora puliscili con la lingua”.
Non ce la feci proprio, avevo la repulsione per quell’impasto di cibo e polvere che andava e veniva sul mio viso come una pressa che non arriva a fine corsa e lei non poteva saperlo in quanto il mio busto era sotto il tavolo dove lei non vedeva. Quando se ne accorse, senza nemmeno guardarmi disse con calma “come osi…” quasi a denti stretti, affondò ancora di più i suoi tacchi in modo lento e continuo sul mio petto, li dondolava, li torceva, dava calci verticali. Quando non ce la feci più cominciai a togliere con la lingua delicatamente i resti di cibo dalla sua suola che era rimasta sempre lì, quasi a sfiorare le mie labbra.
Si alzò in piedi mi fece uscire da sotto il tavolo e disse: “ora capirai cosa vuol dire essere schiavo!”, “tira fuori tutta la lingua e tienila così!”, iniziò a strofinarci energicamente sopra le sue suole a mo’ di zerbino finchè non tornarono al loro colore originale: NERO come il mio animo quel giorno.

 
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