Tutto in una notte

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°Monique°
view post Posted on 9/9/2011, 14:41     +1   -1





L’estate scorsa ho passato due settimane in Spagna per frequentare un corso di spagnolo.
Mi ero appena laureato e la ditta per la quale cominciai a lavorare mi propose di specializzarmi in una lingua straniera a mia scelta.
Accettai innanzitutto perchè non avevo un vero contratto di lavoro ed assecondare ogni loro richiesta non poteva che giovare alla mia situazione contrattuale.
Inoltre mi veniva offerta la possibilità di restare all’estero presso un’agenzia della ditta e di continuare a lavorare lì.
L’idea mi piaceva perchè era sempre stato un mio sogno quello di lasciare l’Italia per un lavoro all’estero.
Non nascondo che fui invogliato anche dal fatto che il viaggio, comprensivo di vitto alloggio e corso, era totalmente a carico della ditta: insomma era un’offerta che non potevo rifiutare.
Così scelsi la Spagna, soprattutto perchè mi avevano detto che lo spagnolo per noi italiani è una lingua facile da imparare.
La mia destinazione era Salamanca, una città dell’entroterra ad un paio d’ore di autobus da Madrid.
Il corso si svolgeva solo di mattina, così il pomeriggio potevo passarlo come volevo, spesso in compagnia degli altri ragazzi che frequentavano il corso con me.
La sera l’entrata gratuita nei locali permetteva a me ed ai miei amici di passare la notte girando da un club all’altro.
L’aspetto migliore di quella “vacanza studio” fu che la città era semplicemente stracolma di giovani fra i 16 e i 25 anni, per la maggior parte anch’essi turisti-studenti provenienti da altre nazioni.
Le due settimane passarono rapidamente, il imo spagnolo migliorò e si incrementò anche il numero di persone che conoscevo la sera nei locali. Ciononostante, non fui capace di rimorchiare nemmeno una ragazza per tutta la durata del mio soggiorno e questo proprio non mi andava giù.
Certo, ero lì soprattutto per lavoro, non per altro; inoltre la mia ragazza mi aspettava a casa a braccia aperte (almeno così speravo).
Ma il fatto che tutti gli altri si dessero da fare con successo tranne me proprio non mi piaceva.
Ogni notte tornavo a casa da solo, mentre per i miei compagni di corso la fiesta doveva ancora finire.
L’ultima sera stava per ripetersi questa situazione, ma, se possibile, in peggio.
I miei amici abbandonarono il locale ancor prima che la serata finisse per terminarla in compagnia delle ragazze che avevano appena conosciuto. Restai solo al bancone del bar, mentre in pista tutti si scatenavano; pensai che non ci potesse essere conclusione peggiore.
Dopo poco, però, mi accorsi di un gruppo di ragazze che ballavano lontano dalla pista. Smisero e si avvicinarono al bancone: non ricordo quante fossero, forse 7 o 8.
Si muovevano in fila indiana per farsi largo fra la folla della discoteca; raggiunto il bancone, si disposero ognuna vicino all’altra e l’ultima si sedette vicino a me.
Rimasi semplicemente folgorato: non l’avevo vista prima perchè era nascosta dalle sue amiche, ma appena la scorsi, non potei fare a meno di notarne la bellezza.
Era un angelo quello che si sedette al mio fianco o, comunque, sperai proprio che gli angeli le assomigliassero almeno un po.
Aveva i capelli castani e molto lunghi e due occhi azzurri come il mare; la pelle era molto chiara, delicata, solo le guance erano un po arrossate dal sole o forse dal caldo dell’ambiente. In un solo istante me ne innamorai come un bambino.
Restai a guardarla fisso senza accorgermene o proferire parola e lei, un po imbarazzata, si girò verso di me dicendo qualcosa in francese. Francia … che bella nazione, pensai, ma continuai a fissarla inebetito; le sue amiche avevano visto la scena e cominciarono a ridere.
Lei ripetè qualcosa in francese e fu allora che mi sbloccai e a stento riuscii a presentarmi farfugliando in spagnolo sperando che mi capisse.
Evidentemente anche lei era lì per studiare la lingua, perchè mi rispose in maniera molto formale, così come al corso dovevano averle insegnato.
Le amiche ci guardavano maliziose e si parlavano fra di loro, incitandola e creandole un po di imbarazzo.
Ma fu proprio la sua timidezza, così simile alla mia, che mi ridette un po di fiducia nella conversazione.
Si chiamava Virginy ed era a Salamanca da quasi una settimana: aveva vent’anni ed era decisamente simpatica, rideva spesso.
Ordinammo un drink e, quasi senza accorgercene, ci ritrovammo da soli al bancone: le sue amiche, infatti, ci avevano lasciato per tornare in pista.
Non mi accorsi nemmeno che la serata era finita quando il locale cominciò a sfollarsi.
Uscimmo fuori insieme e lei si allontanò per andare dalle sua amiche che l’aspettavano all’aperto già da un po.
Dopo poco, però, tornò da me e decidemmo di fare una passeggiata da soli. Erano quasi le 3 e mezza, ma la serata era calda ed entrambi non avevamo voglia di dormire.
Salamanca è una città piccola, molto ben curata e ricca di palazzi in stile medievale.
Decidemmo di andare fuori l’università giusto per trovare un posto dove stare soli, non certo per ammirare il portale.
Giunti nello spiazzo antistante l’Università ci sedemmo su un marciapiede e, finalmente, ci baciammo.
Se prima ho detto che me ne ero innamorato a prima vista, dopo quel bacio ne ebbi la conferma.
Mi baciò come se il giorno dopo sapesse che non ci saremmo più visti e volesse lasciarmi un bel ricordo di se.
Ero contento, al settimo cielo, eppure sapevo che tutto ciò sarebbe presto finito e che all’indomani sarei tornato dalla mia ragazza, che mi amava, è vero, ma con la quale non avevo mai provato un sentimento così forte.
Passammo quasi un’ora a baciarci e a parlare: era lei soprattutto a farmi un sacco di domande e mi guardava fisso negli occhi, come se volesse sapere tutto di me.
Ad un certo punto guardò l’orologio ed io pensai che fosse arrivato il momento di salutarci.
Ci alzammo in piedi, lei mi abbracciò, si strinse forte a me e poi mi chiese di accompagnarla a casa.
Disse che mi avrebbe voluto rivedere l’indomani mattina, in quello stesso posto, ma si accorse, dall’espressione del mio viso, che ciò era impossibile. Dovette capire tutto, perchè si staccò da me e mi chiese quando sarei partito.
Abbassai lo sguardo e le dissi la verità.
Avevo paura che se ne andasse all’improvviso, così come l’avevo incontrata. Pensai che si sentisse tradita, ma mi sbagliavo:
Mi prese una mano e, alzandosi sulla punta dei piedi, mi baciò sulle labbra.
La guardai e vidi che sorrideva: “Ma chi sei!?” pensai.
Tenendomi ancora per mano, mi tirò verso la strada, a quell’ora deserta, e mi chiese nuovamente di accompagnarla a casa.
Scoprii che abitava a pochi metri dall’Università e pensai che fosse finalmente arrivato il momento dell’addio.
Giunti al portone della sua abitazione fui come preso dallo sconforto; l’idea di non rivederla più già mi struggeva.
Mi chiese se l’avessi voluta accompagnare fino alla porta di casa e, pur di restare con lei il più possibile, acconsentii.
Salimmo le scale, con lei che mi precedeva sempre tenendomi per mano, e finalmente raggiungemmo il suo piano.
Per un momento mi lasciò la mano per estrarre dai jeans attillati la chiave di casa ed aprire la porta.
Entrò nell’ingresso ed accese la luce, lasciandomi al buio delle scale.
Si girò verso di me e mi disse di aspettarla per un momento:la vidi entrare attraverso una delle porte che si affacciavano sul lungo corridoio della casa.
Rimasi solo e disorientato: un sentimento di tristezza misto a incapacità d’agire si stava facendo strada in me.
Non ricordo quanto tempo rimasi la fuori, forse un minuto o più, ma ad un certo punto la porta della stanza in cui Virginy era entrata si aprì e ne uscì un’altra ragazza.
Riconobbi in lei una delle sue amiche che avevo visto al bancone del bar qualche ora prima.
Indossava una camicia da notte ed aveva l’aria assonnata: si voltò verso di me e, come mi vide, accennò ad un saluto cui risposi.
Ancora non capivo cosa stesse succedendo.
La ragazza entrò in un’altra stanza, richiudendosi la porta alle spalle.
Contemporaneamente Virginy fece capolino dalla stanza e mi invitò a chiudere la porta di casa e a raggiungerla nella camera.
Capii quel che avrei dovuto capire già da un bel po; ciò che Virginy stava per regalarmi era quello che cercavo da circa due settimane: una notte di sesso.
Ma stavo sbagliando un’altra volta.
Virginy stava per regalarmi molto do più: non sarebbe stata solo una notte di sesso, ma una notte di passione, di quella passione che vivono due persone che sanno di avere poco tempo da trascorrere assieme e che devono concentrare tutto quello che provano in pochi istanti. Virginy stava per regalarmi un ricordo bellissimo, per sempre indelebile nella mia mente.
Chiusi la porta dietro di me e mi avviai lungo il corridoio verso la stanza. Virginy era rientrata e, come raggiunsi la camera, vidi che ne era all’interno, n piedi, che mi aspettava sorridente.
Chiusi anche la porta della stanza e mi avvicinai a lei; la strinsi forte a me e la baciai.
Subito anche lei mi abbracciò con forza, ricambiando appassionatamente il mio bacio.
Lentamente ci adagiammo sul letto che era vicino a noi: era un letto matrimoniale che, evidentemente, Virginy divideva con la sua compagna di stanza.
Ci baciammo ancora a lungo, poi, lei si alzò in piedi davanti a me e cominciò a sbottonarsi la camicetta che indossava.
Nel frattempo, io mi ero seduto sul bordo del letto e mi ero tolto la maglietta restando a torso nudo.
Allungai le braccia e la avvicinai a me.
Rimase in reggipetto: con le mani dietro la schiena se lo slacciò.
Aveva dei seni giovani, anche se non molto prosperosi: cominciai a leccarglieli lentamente, mentre lei dolcemente mi carezzava la testa e le spalle.
Aveva delle piccole aureole, ma i capezzoli erano molto duri e io glieli mordevo dolcemente.
Continuai baciandole il ventre, poi lei mi fermò: si tolse le scarpe e si sfilò i jeans ed anch’io feci lo stesso.
Rimanemmo entrambi con gli slip indosso: allora lei si inginocchiò davanti al letto e me li sfilò.
Prese il mio pene con una mano e cominciò a masturbarmi.
Ero seduto sul letto mentre Virginy mi masturbava lentamente; aveva una mano insicura, forse non era molto pratica, così la guardai e le sorrisi.
Da seduto, passai a stendermi sul letto con le gambe fuori, mentre Virginy si sporse in avanti e cominciò a leccarmi il glande, che si era fatto ormai duro, continuando a masturbarmi.
Mi sembrò d’aver raggiunto il nirvana quando cominciò a succhiarmi il pene per intero, abbandonando il movimento con la mano.
Si muoveva in alto e in basso, avvolgendo il mio sesso quasi per intero e sarei quasi venuto se lei, accortasi del mio stato, non si fosse fermata in tempo.
L’invitai a salire sul letto, mentre anch’io vi portavo sopra le gambe. Si sdraiò al mio fianco e ci baciammo, mentre ognuno carezzava con le mani l corpo dell’altro.
La stanza aveva la luce spenta, ma a finestra non era chiusa: la luce rossastra di un lampione illuminava tutto il letto.
Potevo ammirare quel giovane corpo nel pieno del suo splendore.
Mi spostai verso l’estremità inferiore del letto e con le mani le sfilai le mutandine.
Virginy mantenne le gambe socchiuse per aiutarmi un quella operazione, poi, appena gliele ebbi sfilate, le divaricò leggermente.
Il suo sesso era meraviglioso: giovane, quasi privo di peli, mi offriva una vista chiarissima di come fosse fatto.
Mi chinai su di lei e cominciai a leccarglielo, lentamente, a volte baciandolo intorno.
Era molto sensibile, così qualche volta mi prendevo una sosta affinchè potesse calmare la sua eccitazione.
Toccavo con le mani la morbida carne delle sue gambe: anche lì era molto sensibile, ma adesso aveva cominciato ad emettere dei gemiti sommessi misti ad incitamenti in francese.
Continuai a leccarle la vagina alternando il clitoride alle sue labbra interne.
Ben presto si fece umida, così mi fermai, mi spinsi sopra di lei e con una mano diressi il mio pene all’ingresso del suo sesso.
Feci un po do fatica per penetrarla e dovette soffrire un po dapprincipio: quindi mi mossi lentamente in avanti fino a penetrarla completamente.
Sempre lentamente mi mossi in fuori me in dentro finchè non incontrai più resistenza.
Sentivo il suo respiro affannoso sulla mia faccia e il contatto dei suoi seni duri
contro il mio petto.
Il suo profumo e quello dei suoi capelli mi inebriavano, allora cominciai a muovermi con più decisione.
Il peso del mio corpo doveva piacerle mi stringeva con forza a sè, a volte premendo sulle mie natiche, come per aiutarmi a spingere.
Continuava a dire qualcosa in francese, ma capivo che erano parole di piacere.
Mi baciava ripetutamente e aveva il viso infiammato; mi incitava a continuare parlando a bassa voce per non farsi sentire dalle amiche nelle stanze a fianco.
Continuammo ancora un po, poi mi fermò e mi disse di cambiare posizione. Mi staccai da lei, che si mise su un fianco, e mi invitò a fare lo stesso.
Entrambi ora eravamo distesi su un lato: io ero dietro di lei e le sollevai una gamba.
Con una mano Virginy cercò il mio pene dietro di sè e lo diresse verso la sua entrata: lì la penetrai.
La posizione non era molto comoda, ma mi eccitò molto, così cominciai a colpirla con un po di violenza: potevo sentire il rumore di risucchio che i suoi umori vaginali provocavano.
Virginy, che mi dava le spalle, aveva un collo meraviglioso: le spostai i capelli e, mentre la penetravo, cominciai a leccarglielo, mentre con una mano le tenevo il seni ormai durissimi.
Cominciava a gemere con più frequenza, sentivo che anch’io stavo arrivando al limite e spinsi più velocemente. I suoi spasmi aumentarono d’intensità e poco dopo raggiunse l’orgasmo.
Anch’io feci lo stesso: rapidamente tirai fuori il mio pene e girandomi di scatto mi svuotai dall’altra parte del letto.
Mi imbarazzai un po, perchè produssi un incredibile quantità di sperma, che prolungò a lungo il mio piacere.
Virginy si era già calmata e quando mi rigirai verso di lei mi abbracciò con forza e disse d’essere felice che m’era piaciuto così tanto.
La strinsi forte a me: entrambi eravamo sudati, fuori faceva caldo.
Restammo immobili, assaporando l’uno l’odore dell’altra per qualche istante.
Dopo un po mi baciò e mi chiese di stringerla con forza, come per proteggerla: ci addormentammo in quella posizione, nudi.
Mi risvegliai solo al mattino verso le nove e mi accorsi che era tardi, perchè alle dieci e mezza avevo l’autobus per Madrid e dovevo ancora farmi la valigia.
Non feci i tempo a muovermi un po che anche Virginy si svegliò e subito mi guardò con aria triste,.
Capì che stavo per andarmene, ma si sforzò di sorridere.
Mi osservò mentre mi rivestivo, poi, quando fui pronto, ancora nuda si alzò dal letto, si avvicinò a me e mi baciò con passione.
Fu l’ultimo contatto che ebbi con lei: sull’uscio di casa mi disse di non essere triste e di non scordarla mai.
Le sorrisi e ,senza più rivoltarmi, scesi le scale, mentre sentivo la porta chiudersi lentamente.

 
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