MUSTAFA', di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 3/4/2011, 15:36     +1   -1




Mustafà era solito trascorrere le giornate pulendo il parabrezza delle autovetture ferme ai semafori all'incrocio di Barriera Bixio. Questo lavoro gli permetteva di raggranellare il denaro necessario per sostentarsi. Inoltre gli Euro che riusciva a mettere da parte da questa attività li depositava su un libretto di risparmio postale che era solito portarsi sempre appresso.
Un pomeriggio, vittima di un malore, fu ricoverato d'urgenza in ospedale. I medici del Pronto Soccorso gli diagnosticarono un avvelenamento da monossido di carbonio, probabilmente causato dall'inalazione di gas tossici, quelli che fuoriuscivano dai tubi di scarico delle autovetture ferme ai semafori.
In ospedale Mustafà si era trovato talmente a proprio agio che, una volta dimesso, fece dello scantinato della clinica in cui era stato degente la sua dimora.
Vi trovava rifugio ogni sera, mentre al risveglio provvedeva a occultare la branda su cui aveva dormito dietro uno degli armadi stipati nello scantinato. Prima che le corsie della clinica si riempissero di medici e infermiere, risaliva la scalinata che dalla cantina conduce al reparto di degenza. Ciabatte ai piedi, asciugamano sulla spalla, con indosso i pantaloni del pigiama e la canottiera, occupava uno dei bagni riservati ai degenti.
Nella stanza da bagno ci rimaneva chiuso per una decina di minuti, il tempo necessario per lavarsi e radersi la barba. Terminata l'opera di pulizia del corpo usciva dal locale per intraprendere una nuova giornata di lavoro.
Durante il periodo del suo ricovero nella clinica, dove presto servizio come infermiera, imparai a conoscere Mustafà. Ne apprezzai l'ingegno e la cultura, rimanendo impressionata dal modo in cui mi parlava della sua terra: il Marocco.
Diplomato perito meccanico viveva in Italia da clandestino. Il viso scavato e il corpo smagrito lo facevano sembrare più vecchio dei suoi trent'anni. Furono sufficienti sette giorni di ricovero in clinica per migliorarne l'aspetto e l'umore.
Quando le mie colleghe ed io scoprimmo che aveva fatto dello scantinato la propria dimora per la notte non osammo cacciarlo, anzi, prendemmo l'abitudine di fargli avere degli avanzi di cucina una volta effettuata la distribuzione dei pasti ai degenti.
Terminato il turno di lavoro presi l'abitudine di fermarmi a parlare con lui. Mustafà si esprimeva in un buon italiano e parlava volentieri del suo paese. Gli piaceva dissertare sul fascino dell'Alto Atlante, delle Città Imperiali, della Casbah di Fès e delle meraviglie di Marrakech. Ma più di tutto amava soffermarsi nel magnificare le bellezze della sua città natale: Ouarzazate, di cui decantava i pittoreschi paesaggi e le caratteristiche abitazioni in terra rossa, uniche nel loro genere.
Mi parlò di località distanti tra loro poche ore di viaggio, ma ricche di contrasti geografici. Mi raccontò del paesaggio desertico del Sahara, degli altipiani e delle catene montagnose che lo separano dall'oceano. Ascoltando le sue testimonianze mi sembrò di vederli quei posti da lui magnificati, meditai persino di andare a fare visita prima o poi a quei luoghi.

Una sera dello scorso mese, concluso il turno di lavoro, mi soffermai ancora una volta a parlare con lui. Mi fece accomodare su di un tappeto, steso sul pavimento dello stanzino dove era solito riposare, e mi offri un thè alla menta. La conversazione andò avanti per una decina di minuti, dopodiché lo salutai e m'incamminai verso lo spogliatoio riservato al personale femminile per cambiarmi d'abito.
Stavo allontanandomi quando, effettuati pochi passi, una mano mi cinse il collo e mi otturò la bocca impedendomi di urlare. Mi sentii trascinare dentro uno sgabuzzino senza riuscire a liberarmi dalla stretta. Poco dopo mi ritrovai sdraiata sul pavimento con una doppia striscia di cerotto attorno alla bocca e i polsi legati con una corda.
Il locale dove fui trascinata dal mio aggressore era completamente buio. Una debole striscia di luce filtrava attraverso gli infissi della porta alle mie spalle. Il cuore sembrava uscirmi dal petto per lo spavento. Ero scossa e tremavo per la paura. Nell'oscurità andai alla ricerca del volto del mio assalitore, ma riuscii a percepirne soltanto la sua sagoma scura. Eppure già ne conoscevo l'identità.
Mustafà stava davanti a me. Non lo vedevo ma ne percepivo il respiro affannoso. Il tempo trascorreva lento, ma era solo una mia impressione. Non riuscivo a capacitarmi della ragione per cui mi teneva prigioniera. Mi domandai quali fossero le intenzioni del mio assalitore, senza trovare risposta, incapace di accettare la realtà che stavo vivendo.
Con un coltello Mustafà iniziò a tagliarmi le vesti riducendole a brandelli. Rimasi con solo le mutandine e il reggiseno addosso. Non pago recise il tessuto delle mutandine in prossimità dei fianchi e le fece cadere ai miei piedi. Durante tutte queste manovre non disse una sola parola. Avrei voluto dirgli di fermarsi, che stava per commettere un grave crimine e avrebbe pagata assai cara quell'infamia, ma il cerotto che a più strati aderiva alla mia bocca m'impedì di articolare una qualsiasi parola. Nemmeno potevo divincolarmi dalla stretta delle corde che mi tenevano legate le mani. Rannicchiata per terra rimasi in attesa che Mustafà prendesse una qualsiasi decisione che, infatti, non tardò ad arrivare.
Dopo avermi sistemata carponi sul pavimento prese posto dietro me. Cercò in tutti i modi di farmi abbassare il capo al pavimento. Io mi opposi facendo resistenza.
- Se non stai buona ti ammazzo! Non sto scherzando.
Divaricai le gambe e abbassai il capo lasciando da parte ogni residua resistenza. Mustafà mi cinse i fianchi con entrambe le mani e con la cappella prese a puntarmi il buco del culo. Per quanto si sforzasse di penetrarmi non fu in grado di superare l'anello dello sfintere anale. Opponevo una certa resistenza, ma era pur vero che il mio buchetto era troppo stretto per il suo uccello.
- Se non lo lasci entrare ti taglio la gola. E' l'ultimo avvertimento!
Sputò un grumo di saliva sul mio culo, poi mi penetrò ficcandomi un dito dritto nell'ano facendomi sussultare per il dolore. Subito dopo puntò il cazzo sullo sfintere e lo infilò centimetro dopo centimetro nella cavità del mio corpo. Nonostante la presenza del cerotto attorno alla bocca urlai con quanto fiato avevo in gola. Cercai di divincolarmi e sfuggire alla morsa delle sue mani, ma invano. Lo spessore del suo membro lacerò i tessuti dello sfintere.
- Sei terribilmente stretta. - disse mentre affondava l'uccello nella cavità.
Presa dallo sconforto considerai che l'unica cosa che mi restava da fare era di assecondarlo se volevo uscire viva da quella situazione e soffrire il meno possibile. Iniziai a muovere il culo al ritmo del cazzo, assecondando Mustafà nei movimenti, anche se il buco del culo prese a dolermi sempre di più.
Mustafà incominciò ad affondare l'uccello con vigore rassicurato dalla mia inaspettata collaborazione. Mentre mi scopava articolò più volte delle parole nella sua lingua madre. Indirizzate a me probabilmente. D'improvviso rallentò la corsa del cazzo, forse per non venire troppo in fretta, pensai dopodiché riprese a scoparmi con maggiore lena intercalando degli attimi di pausa.
- Ti faccio male? - chiese.
Il cerotto che fino a poco tempo prima otturava la mia bocca aveva allentato la presa dandomi la possibilità, seppure con qualche difficoltà, di rispondergli.
- No. - mentii. - E' un piacere. Continua a fottermi, non ti fermare.
Il dolore si fece più intenso quando cominciai a sanguinare da qualche capillare venoso intorno alla parete del retto. A forza di spinte e strattoni Mustafà eiaculò nel mio intestino. Venne tremando da capo a piedi, poi dopo un ultimo affondo emise un urlo di piacere e si accovacciò col torace sulla mia schiena.
Rimase piegato per alcuni interminabili secondi su di me, dopodiché levò l'uccello dalla cavità e restò immobile alle mie spalle. Colta dal panico iniziai a tremare per la paura. Non sapevo cosa sarebbe successo una volta soddisfatto i suoi bisogni.
M'interrogai su quali fossero le sue reali intenzioni? Avrebbe continuato a violentarmi? Mi avrebbe uccisa? Questi e altri pensieri mi balenarono nella mente in quei pochi istanti. Abbandonai la postura gattoni impostami da Mustafà e mi misi seduta sul pavimento. Nel buio del locale riuscii a intravedere la sagoma della sua figura. Immaginai che stesse rivestendosi, ma non ne fui certa.
- Non devi raccontare a nessuno ciò che è accaduto, capito? Altrimenti ti ammazzerò insieme a qualcuno dei tuoi cari!
Pronunciata la minaccia mi sciolse dai legami che per tutto il tempo avevo mantenuto ai polsi e mi lasciò libera. Prima d'uscire dal ripostiglio mi girai verso di lui.
- Non ti preoccupare, non dirò niente a nessuno, è stata una esperienza molto eccitante che non dimenticherò tanto facilmente. - mentii.
La porta si aprì davanti a me e la luce del corridoio illuminò il bugigattolo dove ero stata rinchiusa. Raccolsi dal pavimento quel che era rimasto della divisa da infermiera e uscii. Mentre percorrevo il lungo corridoio che mi separava dallo spogliatoio ero certa d'avere su di me lo sguardo di Mustafà, ma non mi voltai.
A casa inserii uno specchietto fra le cosce e guardai il buco del culo da sotto. Ero piena di lividi. Grumi di sangue erano coagulati tutt'attorno all'ano. L'acqua della doccia servì ad asportare dal mio corpo le tracce di lerciume che avevo appiccicato sulla pelle, ma la profonda ferita interiore che mi aveva inferto Mustafà difficilmente si sarebbe rimarginata. Non pensai a denunciarlo, decisi che gli avrei fatto pagare a caro prezzo l'affronto che avevo subito.

L'acqua della doccia non riuscì ad attenuare il bruciore dello sfintere, fui costretta a sedermi per una decina di minuti sul bidè per ammorbidire i tessuti dell'ano, per lenire il dolore passai sulla pelle un poco di acqua di rose. La sera successiva mi presentai a Mustafà stringendo fra le mani il solito vassoio della cena.
- Tieni. - dissi. - porgendogli una scodella di minestra, una fetta d'arrosto e una porzione di verdura cotta. - Ora ti devo salutare. Ho fretta, fuori ho un amico che mi aspetta. Magari ci rivediamo domani sera. - dissi per rassicurarlo, poi me ne andai.
Dopo quella sera non vidi più Mustafà. Il cadavere, in avanzato stato di putrefazione, fu ritrovato nello scantinato una settimana dopo il decesso. C'è chi afferma che sia morto per il freddo e chi per gli esiti dell'intossicazione da monossido di piombo che gli aveva cagionato il ricovero in ospedale. Nessuno si è mai accorto del nitrato di sodio che gli mescolai nella minestra dell'ultimo pasto.
 
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The_Big_Ticket
view post Posted on 2/12/2015, 11:16     +1   -1




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