Storia di una scopata con un negro (uomo di colore)., by admin

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°Monique°
view post Posted on 10/3/2011, 16:56     +1   -1






Cammino lentamente guardandomi intorno, fermandomi davanti alle bancarelle, sfiorando gli oggetti, accarezzando i vestiti, percorsa da mani braccia gambe che incespicano nei colori bruciati dal sole nel tranquillo pomeriggio al mercato. Raccolgo le occhiate scruto i volti, i pensieri, gli sguardi di desiderio dei venditori ambulanti, mi osservo, percorro il mio corpo avvolto nel vestito lungo di georgette trasparente, un abito indiano che ho acquistato proprio su una di queste bancarelle, ero indecisa, davanti allo specchio studiavo il mio corpo flessuoso, perfettamente visibile sotto il tessuto, un velo macchiato di rosso e di arancio, domandandomi se indossarlo non sarebbe stato indecente.

Poi mi sono decisa, ho infilato i sandali rossi a ciabatta e sono uscita.

Adesso sono ferma, percorsa da spinte e carezze di membra attente e distratte in un inarrestabile movimento, sanno di sole, a volte profumano o hanno addosso l’odore acre del caldo, della fatica.

Sono immobile, e non c’è nulla che possa impedirmi di rimanere così malgrado sia proprio nel mezzo del mercato e ostacoli il passaggio della moltitudine, ma qualcosa ha attratto irresistibilmente la mia attenzione e gli occhi neri adesso attraversano i volti i corpi i capelli incatenati a un solo corpo un solo volto uno sguardo.

E’ africano. Di questo non posso avere dubbi mentre lo sguardo esita sul fisico statuario tre palmi più alto della media maschile, la pelle d’ebano il volto oscuro le labbra eccessive un’unica macchia di nero accesa dagli occhi di luna, grandissimi. Lo accarezzo con le iridi che pur essendo brune non hanno nulla del nero ebano del suo sguardo profondo che racconta di luoghi selvaggi e purissimi.

Sono incantata. Malgrado lui non abbia neppure notato la mia presenza mi avvicino al banchetto, un piccolo banco di oggetti di legno dipinto, simili all’ebano in un’evidente imitazione, e afferro fra le dita la statua più alta, un uomo nudo africano eretto in un movimento. Accarezzo le membra di legno. Lui mi guarda. Il suo sguardo impenetrabile mi percorre dall’alto per un brevissimo istante, domanda:

- Ti piace? –

Rimango in silenzio continuando a sfiorare la statuetta in un’inarrestabile discesa verso le cosce color cioccolato e percorro le curve dei muscoli risalendo sui glutei sfiorandoli languidamente. Le dita ambrate risaltano sul nero di cioccolato della pelle di legno.

- Ti piace – ripete il negro senza domande.

Allora alzo gli occhi e mi inumidisco le labbra.

- Quanto vuoi per questa statua? – gli chiedo.

- Cinquantamila –

- Hai il resto di cento? –

- Cento? – ripete spaesato. Chiede all’amico. Quello fa cenno di no con la testa.

- Fa caldo – sussurro lanciando un’occhiata all’amico più basso che giace seduto a breve distanza.

- Perché non andiamo a bere qualcosa? –

- Vuoi comprare la statua ? – domanda con accento indefinibile indicando l’uomo di legno che stringo fra le due mani.

- Si, ma devo cambiare il denaro. Vieni con me al bar e potrò pagarti la statua. –

- Okay –

Scambia due parole in francese stentato e ci allontaniamo in silenzio.

- Che cosa bevi? – gli domando entrando nel bar.

- Coca cola –

- Un tè freddo e una coca cola, per favore…. Vieni, sediamoci.. –

Ci sediamo di fronte e sorseggio il tè senza staccargli gli occhi di dosso, assorbendo nelle pupille la sua immagine vivida stagliata contro la luce violenta del primo pomeriggio che filtra anche dentro il locale.

Mi lancia occhiate diffidenti.

- Come ti chiami? –

- Alex –

- Ma il tuo vero nome qual è? –

- Il mio nome vero Mvuli, difficile eh? – dice con accento francese.

- Cosa significa? –

- Eh? –

- Cosa vuol dire? -

- Ah, Mvuli è un albero.. il legno dell’albero si usa per costruire le barche..- spiega Mvuli gesticolando. – Ma Alex più facile – Sorride.

Sorseggio il tè. Il mio sguardo lo divora mentre avvicina alle labbra la bottiglia di coca cola e la svuota in tre grosse sorsate leccando infine le labbra gonfie e girandosi verso di me.

- Ne vuoi un’altra? –

- Si, grazie –

Chiedo un’altra coca cola e prendo dentro il frigo un gelato, torno da lui e glieli porgo, mi ringrazia sorridendo. Rimango a osservarlo scartare il gelato ed eliminarlo a grosse leccate dal cono tenendo la coca cola stretta nell’altro palmo, ghiacciata.

La bocca si muove sul cono e sulla bottiglia colma di liquido mentre il mio sguardo divora il suo corpo i muscoli gonfi le spalle possenti il petto teso le braccia nere la testa tonda le labbra tumide il bisogno cresce, estensione del desiderio contorto e schiacciato come un animale innocente che alza finalmente la testa, altero, e quando per un istante i suoi denti bianchissimi illuminano come pietre di luna il sorriso una folgorazione mi sveglia, di colpo, costringendomi ad agire con decisione.



Prendo un tovagliolo di carta e scribacchio un indirizzo, glielo porgo.

- Quando hai finito col banco vieni da me a questo indirizzo, se vuoi –

Lo osservo. Sorride. Dice Grazie, come per il gelato.

Forse mi sono già pentita ma non fa nulla, pago il conto gli porgo le cinquantamila della statua ed esco veloce, sentendo sulla pelle i suoi occhi.

Adesso sono seduta su una seggiola con i gomiti appoggiati al tavolo di legno del luminoso soggiorno nell’appartamento di Paola, mi ha lasciato le chiavi per tenere d’occhio la casa mentre lei è in vacanza, e per bagnare le piante. Le amene pianticelle ornamentali occhieggiano da ogni angolo e mensola del soggiorno arioso e vivace, la casa di Paola mi è sempre piaciuta per l’amore che trasmette ogni oggetto che vi dimora, scelto con cura dalle sue diafane dita sottili e studiato con attenzione dalle delicate iridi turchine ombreggiate da ciglia dorate ricurve, costringendola ogni tanto a corrugare leggermente la fronte cosparsa di ciocche ricciute, prima di trovarvi una sistemazione definitiva e perfetta. Dalla mensola occhieggia anche il volto abbronzato e sorridente di Alberto imprigionato in una fotografia dentro un portaritratti d’argento, mi chiedo che cosa direbbero se sapessero che fra poco un africano conosciuto al mercato suonerà il campanello e verrà da me dentro il loro delizioso appartamento ordinato.

Versandomi un bicchiere d’acqua presa dal rubinetto mi ripeto che tanto non verrà, penserà ad uno scherzo o a chissà cosa, e non avrà mai il coraggio di farsi vedere. Sfioro le mie cosce, percorse dal vestito leggero, e appoggio le natiche al tavolo, tesa. Il lieve suono del campanello mi fa sobbalzare violentemente. E’ venuto. Lo realizzo impallidendo e corro a osservarmi allo specchio del corridoio, gli zigomi sono lucidi e gli occhi brillano per la tensione, le labbra rosse. Mordicchiandole nervosamente sistemo i capelli e il vestito, corro ad aprire.

- Ciao – dice Mvuli.

- Ciao.. entra ..- bisbiglio.

- Posso andare a lavarmi le mani? –

Lo fisso stupita.

- Al mercato c’è polvere.. –

- Certo, il bagno è di là..- e glielo indico.

Torno in soggiorno e riempio un altro bicchiere d’acqua dal rubinetto.

Quando torna glielo porgo.

- La mia amica è in vacanza, qui abbiamo solo acqua da bere – gli dico arrossendo stupidamente. Lui prende il bicchiere e lo svuota in due sorsi, lo posa sul tavolo. Mi viene davanti. Sono imprigionata fra la parete e il suo corpo, un brivido di paura mi scorre lungo tutta la linea dorsale, quando solleva la mano il suo tocco è caldissimo. Le dita scorrono sulla pelle del braccio soffermandosi su un capezzolo teso visibile attraverso il tessuto trasparente, l’altra mano scivola senza cerimonie fra le mie cosce.

- Vuoi questo – bisbiglia senza guardarmi, e le dita afferrano il mio polso e guidano la mano alla patta dei jeans, premendola sopra.

- Lo vuoi – dice col suo vago accento francese.

Un cazzo teso, tesissimo, si intuisce attraverso i pantaloni, ne delineo il contorno con le dita tremando, avvicino anche l’altra mano per comprenderlo tutto, il mio vestito è già sbottonato fino alla vita e i capezzoli sono due giocattoli per le sue labbra ingorde, i denti come pietre di luna, la lingua rossastra e lunghissima mi scivola sulla pancia simile a un serpente inumidendo la pelle di densa saliva calda, poi le mani aperte sotto le natiche e mi solleva in un attimo, cammina, mi appoggia sul tavolo.

Si sfila la maglietta.

Con mani aperte percorro la sua pelle nera bruciante, premo i polpastrelli sui capezzoli, pizzico i fianchi scivolo sul torace la schiena sull’addome teso come la statua di legno, sento le sue dita insinuarsi fra le pieghe delle anche e le mie mutandine affondare per un istante dentro la carne, oscene, mentre la lingua preme di nuovo come un serpente sulla carne umida per penetrare, le sfila veloce e torna a premere la testa fra le mie cosce.

- Uhmm..- lo sento mugolare – sei dolce come gelato -, la bocca soffocata dalla mia carne, con la lingua mi esplora e costringe le labbra ad aprirsi, la mia bocca a dischiudersi, l’addome a protendersi verso l’unica fonte di piacere e tormento, le lunghe dita nere scivolano dentro il mio corpo esplorando dove la lingua non può arrivare, strappandomi gemiti di desiderio e movimenti convulsi, come una danza frenetica.

Sdraiata sul tavolo ho abbandonato la presa sui suoi pantaloni, ma adesso mi sporgo arcuando il bacino e raggiungo i suoi fianchi dove la cintura è già stata allentata, lo spoglio. Premo le dita sulle sue spalle costringendolo a interrompere la danza del serpente dentro le mie cosce e lo spingo indietro contro il muro bianco perfetto, lo osservo un istante, sconvolta, scivolo davanti a lui in ginocchio, nuda fino alla cintura, famelica inghiotto il suo uccello dentro la gola, sento la punta gonfia premere contro il palato e scivolare all’imbocco della laringe, soffocandomi. Deglutisco a fatica e con la lingua lo percorro vorace, succhiando, lo sputo fuori, lo lecco, torno ad affondarlo dentro la bocca.

Adesso pulsa nella mia gola come ad avvisarmi che potrebbe esplodere in qualsiasi momento, afferrandolo alla base con le due mani aperte lo lascio libero, all’aria, ad asciugarsi dal calore della mia saliva.

Il desiderio si contorce come una bestia intrappolata dentro il mio corpo.

Inginocchiata sulla sedia con il torace appoggiato sul legno freddo del tavolo come in una punizione sento le nere dita penetrarmi profondamente e poi d’improvviso il suo membro, turgido e arrabbiato che mi scuote come una bandiera, mi prende, mi invade, riempiendo la mia gola di implorazioni.

Non posso vederlo. Posso percepirne la rabbia, la violenza della sua eccitazione da come si muove dietro e dentro di me e non colgo un barlume di lucidità in me in lui in quei momenti di dolore e piacere assoluto, inarrestabile, adesso urlo, sconvolta, per comunicargli il bisogno della mia eccitazione, ma lui si ferma, crudele, e mi siede sul tavolo come se fossi di gommapiuma, fronteggiandomi col volto di ebano, inondandomi del suo liquido bianco madreperlaceo.

Mi abbandono all’indietro, piangendo.

Sento il rumore del rubinetto e capisco che beve un bicchiere d’acqua, prego che se ne vada prestissimo, per procurarmi piacere da sola e correre dentro la doccia a lavarmi, disgustata, dallo sperma bianco dell’uomo nero e bastardo, come ci hanno sempre insegnato. Convinta che sia tutto finito.

Ma lui si riavvicina. Riprende ad accarezzarmi e asciuga le lacrime con le sue dita lunghe, leggere, le labbra si aprono sui miei capezzoli ad assaporare quel liquido chiaro, dal colore della luna, e la lingua riprende a giocare come un serpente, rossa, lasciando una scia di bisogno un veleno, svuotandomi da ogni pensiero. Di nuovo si insinua fra le mie cosce dove mi ha appena violata procurandosi un piacere solitario e brutale, dischiude le labbra con delicatezza, si sofferma a succhiare il minuscolo anello da cui si dipartono tutti i raggi del mio piacere come dal sole.

Le dita tiepide scivolano sulle natiche aprendole leggermente e con un dito penetra l’altro minuscolo anello, facendosi strada nello spazio angusto con decisione, consapevole della mia incapacità di reagire per tutto il tempo in cui la mia eccitazione sarà placata dalla sua bocca e affonda le dita fino a quando le nocche della sua mano premono contro il sedere.

Vinta adesso esplodo in un orgasmo violento e agito il capo a destra e sinistra incapace di fare altro, implorandolo di continuare, dischiudo appena le palpebre in tempo per vedere il suo lungo uccello eretto ancora lucido del liquido trasparente scomparire fra le mie cosce mentre le due mani aperte mi sollevano il bacino e mi scuotono stringendosi intorno alla vita.

Ansima. Il fallo scivola dentro la carne a ogni colpo più tumida e rossa, le labbra si allargano, gonfie, mentre mi scopa, i miei occhi sono fissi sul suo viso negro, sulla bocca sporgente e grottesca, sugli occhi assenti quando l’uccello scivola fuori, turgido, lascia una scia umida e trasparente sopra la pancia e affonda nuovamente dentro di me. Questa tortura continua per un tempo infinito, ogni volta mi strema, mi avvicina all’orgasmo poi si ferma, esce fuori e mostra la sua spada, vittoriosa e lucente, con un lampo negli occhi e un sorriso sul volto d’ebano.

D’improvviso lo afferro, incatenando i suoi fianchi alle anche, appoggiandogli i polpacci sulle spalle, con le pupille lo imploro di muoversi, ma lui ride, possente, scosta il bacino di alcuni centimetri, esce fuori da me e affonda il membro dentro le natiche, sfidandomi con lo sguardo.

Mi immobilizza.

Sento l’uccello che penetra dentro l’anello serrato, minuscolo, deciso a farsi strada fino in fondo, spalanco gli occhi annaspando, invano tento di muovermi, di divincolarmi, con un colpo di reni mi penetra bruscamente e rimane dentro il mio corpo in quei pochi centimetri brucianti di dolore sordo, togliendomi il fiato.

Il cazzo inizia a muoversi provocando una sensazione insostenibile, dolore bruciore paura mi attanagliano in una morsa la gola mentre lo sento ansimare al colmo dell’eccitazione, lo fisso e comprendo che è deciso ad arrivare fino in fondo al sentiero del suo piacere per lasciare anche lì la sua impronta bagnata, chissà da quanto tempo non scopa mi sorprendo a pensare mentre le mie dita scivolano fra le cosce spalancate e attorcigliate dietro i suoi fianchi e mi massaggio con gesti esperti cercando di lenire il dolore.

Mvuli si muove dentro il mio corpo a ritmo selvaggio, feroce, in un crescendo di desiderio e potenza e improvvisamente le sensazioni si confondono il dolore diventa piacere i movimenti si congiungono in un’unica danza primitiva, inarrestabile, per esplodere improvvisamente dentro di me mentre io vengo nella stessa eterna frazione di tempo e non saprei dire se a provocare simili sensazioni sia stata quell’onda bollente che arriva a inondarmi le cosce o le mie dita la sua bocca oppure tutte quante le cose insieme.

Lo guardo abbandonarsi nero e felice con la faccia premuta sulla mia pancia e chiudo gli occhi sorridendo.
 
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Cristina8534
view post Posted on 19/9/2017, 19:33     +1   -1




Ciao mi chiamo Cristina devi provare due neri assieme io mi faccio sfondare ormai da 1 anno da due neri orgasmo garantito al massimo😉
 
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1 replies since 10/3/2011, 16:56   35180 views
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