LE PALLE DI SAN MARTINO, di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 6/3/2011, 10:51     +1   -1







Era mia intenzione arrivare in clinica prima delle sei, come ogni mattina, ma ero maledettamente in ritardo. Uscendo di casa mi avvicinai alla porta dell'ascensore e schiacciai il pulsante di chiamata. Nell'attesa girai lo sguardo verso la porta del mio appartamento. Un foglio di carta sporgeva da sotto l'uscio. Incuriosita lo raccolsi e notai che c'era una scritta eseguita col pennarello.




VUOI SAPERE QUANTO E' GRANDE IL MIO AMORE PER TE?
CONTA LE STELLE





Qualcuno, nottetempo, si era premurato d'infilare il pezzo di carta sotto la mia porta, ma chi era stato? Piegai il foglio e lo ficcai nella tasca della pelliccia, poi entrai nel vano dell'ascensore che nel frattempo era giunto al piano.

La città a quell'ora della mattina era pressoché deserta. Impiegai poco più di dieci minuti per raggiungere il parcheggio dell'ospedale. Negli spogliatoi della clinica m'imbattei in Giulia, una collega di lavoro.
- Ciao Erika, dormito bene stanotte?
Strana domanda la sua, pensai.
- Dopo cena sono andata al Boogy. Ho bevuto un paio di birre di troppo e sono tornata a casa verso le due di notte.
- Humm... hai riposato poco allora.
- Sì, certo... ho dormito poco.
Mentre mi cambiavo d'abito non feci troppo caso alle parole che Giulia si ostinava a scaricarmi addosso. Un pensiero fisso occupava la mia mente ed era il biglietto che avevo scorto sotto la porta di casa. Colui o colei che lo aveva scritto doveva essersi alzato di prima mattina, altrimenti avrei notato il biglietto tornando dal pub, pensai. Ma chi era stato?
Il condomino annoverava ventotto appartamenti. Quattro per ciascun piano, con una media di tre persone per nucleo famigliare. In totale erano più di cento persone a vegetare nell'edificio. Escludendo le donne e i bambini rimanevano cinquanta maschi. Uno fra loro doveva essere il mio spasimante, pensai.
- Ehi, sei pronta? - disse Giulia scuotendomi la spalla con la mano.
- Sì, sì... mi sbrigo a indossare le calze e ti seguo.
Prima di chiudere a chiave l'armadietto dove avevo collocato gli abiti civili levai dalla tasca della pelliccia la missiva e la consegnai a Giulia.
- Tieni, guarda questo foglio. Dimmi cosa ne pensi.
Giulia afferrò il pezzo di carta e si mise a leggere il testo.
- Romantico il tuo innamorato. Chi è? Lo conosco?
- Non credo. Ho trovato il biglietto sotto la porta di casa stamattina. Cosa ne pensi? E' lo scherzo di qualche buontempone?
- Beh, non ci giurerei. Se è un tuo innamorato stai pur certa che si farà ancora vivo.
- Dici?
- Ne sono certa. Sbrighiamoci, dai, saliamo in reparto, siamo in ritardo.
- Sono pronta, andiamo.
Una volta indossato il velo a protezione dei capelli riposi il biglietto nella tasca della pelliccia, dopodiché raggiunsi Giulia rimasta ad aspettarmi dinanzi alla porta dell'ascensore.
Quel medesimo pomeriggio, tornando a casa dal posto di lavoro, parcheggiai l'auto nel garage, dopodiché risalii la scala che dalle cantine conduce all'atrio del condominio. Prima d'infilarmi nell'ascensore diedi un'occhiata alla cassetta delle lettere. Dentro ci trovai una lettera della banca e un foglio di carta azzurro, del tutto simile a quello che al mattino avevo trovato sotto la porta di casa.




NON TI ACCORGI CHE SEI BELLA
COME UN ANGELO?





Dalla tasca della pelliccia levai l'altro foglio e lo confrontai con quello custodito nella cassetta della posta. La calligrafia era la stessa, anche la carta era la medesima.
Chi era il mio corteggiatore? Mi domandai per l'ennesima volta.
La porta dell'ascensore si aprì e ne uscì il signor Piccioni, uno degli inquilini del quinto piano. Non era in compagnia della moglie come era solito accompagnarsi quando usciva di casa.
- Buongiorno signorina Erika. Torna dal lavoro?
- Eh, sì, sono stanca morta e ho bisogno di riposo.
- Alla sua età le basta poco per rimettersi in sesto. Stasera sarà di nuovo in pista eh!
- Può scommetterci!
Il signor Piccioni s'incamminò verso la porta a vetri che conduceva in strada reggendosi a un bastone di legno. Aveva quasi ottant'anni e non poteva essere lui il cascamorto che mi bersagliava con le missive. A meno che...
Uno in meno dalla lista, pensai. Ne restavano altri quarantanove. Salii sull'ascensore e pigiai il pulsante del settimo piano, quello del mio appartamento. Mentre il vano mobile saliva verso l'alto cominciai a fare diverse ipotesi sulla identità degli inquilini che occupavano gli alloggi del condominio.
Entrai in casa e lasciai cadere la pelliccia sulla cassapanca. Qualche barlume di luce filtrava attraverso la tapparella scarcerando la stanza da letto dall'oscurità. Accesi il lettore di CD e pigiai il tasto play. La musica soffusa del pianoforte di Susanne Ciani riempì la stanza di nuovo calore. Rannicchiata sotto le coperte faticai a prendere sonno. Mi girai più volte nel letto. Nessuno, prima del mio fantomatico spasimante, mi aveva onorato con dei biglietti d'amore. L'autore era un tipo romantico, non avevo dubbi su questo. Ma chi era costui?
Passai in rassegna l'elenco degli uomini che abitavano nel condominio iniziando da quelli del primo piano. I loro volti si accavallarono nella mia mente uno dietro l'altro. Me li immaginavo intenti a masturbarsi mentre scrivevano quelle frasi e la cosa mi eccitò.
Reputai Claudio e Giovanni, i gemelli che abitavano al secondo piano, i papabili autori delle missive. Frequentavano l'università e in più di un'occasione si erano mostrati pieni di attenzioni nei miei confronti. Poteva essere uno dei due l'autore dei biglietti, ne ero sicura. Magari si erano messi d'accordo e avevano scritto i biglietti insieme per burlarsi di me.
Mi ritrovai con la figa umida e una dannata voglia di masturbarmi. Iniziai a sfiorarmi i capezzoli facendo roteare le dita attorno alle sporgenze carnose delle areole regalandomi un piacere a me familiare.
Il mio corpo fu attraversato da brividi di calore. Avrei desiderato infilare l'estremità dei capezzoli fra le labbra per succhiarli, ma le mie tette sono troppo minute e non mi consento di farlo, allora mi accontentai di guardarli mentre li toccavo.
Allargai le cosce e rasentai con le dita la figa fradicia di umore. Rimuginai le parole che avevo letto sui biglietti e iniziai ad accarezzarmi il clitoride. Detersi di saliva l'estremità delle dita e solleticai la minuscola sporgenza erettile.
Il clitoride era gonfio da farmi male. Serrai un capezzolo fra le dita provocandomi un gradito dolore. Avevo un forte desiderio di fare sesso e d'amore. Accelerai lo strofinamento sul clitoride ed ebbi un primo, gradito, sconquasso allo scheletro. M'inerpicai con la schiena all'indietro e seguitai a masturbarmi. Il respiro mi si fece affannoso e mi trovai nella condizione di chi è prossima ad avere un orgasmo. Serrai le cosce e un embolo di calore mi raggiunse il cervello scoppiando con la stessa intensità di un flash di luce. L'emissione luminosa fu breve e intensa come il mio orgasmo.
Mi addormentai con le note del pianoforte di Susanne Ciani che addolcivano il mio ritorno alla vita. Quando mi svegliai erano passate le cinque da qualche minuto.
Jeans, maglione a girocollo, Moncler e un paio di guanti era quanto di più pratico potevo mettere addosso per ripararmi dal freddo e raggiungere in bicicletta il centro storico. Raccolsi i capelli a coda di cavallo tenendoli insieme con un elastico. Misi una cuffia di lana sopra il capo e uscii di casa.
L'ascensore mi portò sino all'atrio del condominio. Scesi con prudenza le scale che conducevano alle cantine. Da lì avrei raggiunto il garage. Stavo percorrendo lo stretto corridoio che conduce all'area dei garage, quando la porta metallica di una cantina si spalancò ostruendomi il passaggio.
Riccardo si affacciò da dietro la porta. Nelle mani stringeva due confezioni da sei bottiglie di acqua minerale. Le appoggiò sul pavimento e rinchiuse l'uscio alle sue spalle.
- Ciao, Erika.
- Ciao, Riccardo!
- Vai al lavoro?
- No, vado in centro. Vieni anche tu?
- Magari! A Giovanna verrebbe un colpo se mi vedesse andare via insieme te.
- E' sempre tanto gelosa tua moglie?
- Di te, sì.
Non avevo preso in considerazione Riccardo fra gli ipotetici autori delle missive. Era uno che andava per le spicce, non era il tipo romantico capace di perdersi a scrivermi frasi d'amore.
La luce a tempo determinato della cantina si spense e sprofondammo nel buio. Riccardo si avvicinò e mi cinse la vita con le braccia. Lo lasciai fare senza opporre resistenza
- Quand'è che lo facciamo di nuovo?
- Cosa?
- Dai, non fare la sciocca. Lo sai bene che mi è rimasta la voglia di scopare con te.
- Dovrai fartela passare, allora.
- Ti desidero.
Mi spinse contro la parete. Afferrò la linguetta della cerniera del Moncler e l'abbassò. Posò le mani sulle tette e le avvolse per intero. Con le labbra mi lambì il collo e iniziò a baciarmi con dolcezza dietro la nuca: il mio punto debole.
- Smettila, dai, qualcuno potrebbe vederci.
Le mie parole non lo fecero desistere. Con la punta della lingua mi leccò le sopraciglia provocandomi un piacevole solletico. Afferrò la mia mano e la trascinò sulla patta dei pantaloni Aveva il cazzo duro e cominciò a strofinarci la mia mano sopra.
- Ti piace il mio cazzo eh!
Certo che mi piaceva, ma non glielo dissi. Lasciai che fosse lui a guidare la mia mano.
La costrizione del gesto mi eccitò. Fui penetrata dalla sua lingua che si fece largo fra le mie labbra. Non avevo risposto alla domanda che mi aveva fatto. Mi ero incollata alla sua bocca e non avevo alcuna intenzione di rispondergli. Mi pizzicò i capezzoli con le dita e non mi ribellai. Ero in sua balia. Mi slacciò i bottoni dei jeans e infilò la mano attraverso l'elastico delle mutandine. Entrò con le dita nella passera e iniziò a masturbarmi. Dopo avergli slacciato i pantaloni gli liberai il cazzo e iniziai a menarglielo.
Le nostre labbra rimasero a lungo aderenti l'una all'altra. Ci frugammo con la lingua dentro le bocche sbavando una grande quantità di saliva. Mentre ci baciavamo non m'importava granché di sapere se era lui o meno il mio corteggiatore segreto. La situazione in cui mi ero venuta a trovare era perlomeno bizzarra. Stavo facendo del sesso con un uomo con cui avevo avuto una relazione ed era sposato con la migliore delle mie amiche.
Il buio ci era alleato e faceva da alibi ai nostri gesti, continuammo a masturbarci reciprocamente ritmando i movimenti delle mani con quelli delle nostre lingue. Tutt'a un tratto le lampade del corridoio si illuminarono. Dall'atrio giunsero fino a noi delle voci. Qualcuno stava scendendo la scala che conduceva alle cantine. Il rumore dei passi si sovrappose a quello delle voci, mi divincolai dalla stretta, raccolsi la borsetta da terra e mi precipitai alla porta che dava sul cortile. Mentre camminavo allacciai i jeans e il Moncler. Davanti alla porta smerigliata che dava sul cortile mi girai e con la mano salutai Riccardo.

Verso le sette ero di nuovo a casa. Durante la passeggiata in centro mi ero limitata a osservare gli oggetti esposti nelle vetrine dei negozi senza spendere un solo euro. Quando mi trovai dinanzi alla porta del mio appartamento un foglio debordava dal sotto l'uscio. Sfilai il pezzo di carta e lo aprii.
rii.



TEMO I TUOI BACI MA TU NON DEVI TEMERE I MIEI.
MI E' PIACIUTO VEDERTI GODERE NELLO SCANTINATO





Bestemmiai nell'apprendere che si era messo a controllarmi. Sarei dovuta stare molto più attenta d'ora innanzi, pensai.

Per una intera settimana non fui raggiunta da nuove missive. Forse il mio fantomatico corteggiatore si era stancato di scrivere messaggi, pensai, ma non fu così. Una sera mentre stavo per raggiungere l'autorimessa, per recarmi al lavoro, sulla porta a vetri che conduce all'area dei garage, qualcuno aveva tracciato con le dita una frase sullo strato di brina.




NULLA E' DIFFICILE PER CHI AMA.
CIAO ERIKA





Sfiorai il vetro col palmo della mano e cancellai la scritta. Rientrai a casa alle sette della mattina seguente dopo avere trascorso la notte in piedi a vegliare ammalati. Mi coricai sotto le coperte e mi addormentai quasi subito.

A mezzogiorno uscii di casa per recarmi al supermercato. Nell'atrio mi fermai a guardare la cassetta della posta. Stavolta c'era un cartoncino di colore giallo. Era un avviso delle Poste. Un invito a ritirare un pacco depositato presso la sede di Via Montebello.
L'impiegata delle poste mi consegnò un pacco di piccole dimensioni tenuto insieme con uno spago. Uscendo dall'ufficio postale scartocciai l'imballaggio del pacco e ci guardai dentro.

Due sfere, presumibilmente di materiale plastico, simili per forma e dimensione ai Ferrero Rocher erano racchiuse in un contenitore sferico, trasparente, in bachelite. Un sottile filo di corda collegava una sfera all'altra. Afferrai un lembo della cordicella e le sfere rimasero sospese nell'aria. Provai a scuoterle. Un rumore sordo uscì dalla membrana che faceva da cassa armonica a una seconda sfera contenuta all'interno di quella più esterna. Non mi lasciai sfuggire le palline dalla mano e le sbatacchiai per aria più volte. Una sorda vibrazione mi attraversò il palmo della mano. Mi domandai a cosa servissero quegli aggeggi. Un foglio di carta azzurrina sporgeva dall'involucro che aveva tenuto avvolte le due sfere. Gli diedi una scorsa.




SE TI AMO COSI' MALE E' PERCHE' TI AMO TROPPO.
INSERISCI LE PALLINE NELLA FIGA
E TIENILE DENTRO PER UNA INTERA GIORNATA





Questo è matto davvero, pensai. Scaraventai le palline nella borsetta, avviai il motore della autovettura e mi trasferii al vicino parcheggio del supermercato per fare la spesa.
Qualche giorno dopo, seduta sul divano, davanti alla tivù, infilai una dopo l'altra le palline nella figa. Era da alcuni giorni che rimuginavo quell'idea, ma avevo resistito alla tentazione di farlo, poi avevo ceduto. Ero curiosa di percepire l'effetto che avrebbero avuto su di me.
Nuda, sul divano, iniziai a muovere la cordicella il cui lembo fuoriusciva dalle grandi labbra, ma non riuscii a percepire alcun effetto piacevole. Le sfilai e ritornai a guardare la tivù. Il trillo di una suoneria mi distolse dal film che stavo guardando. Allacciai la vestaglia e andai ad aprire la porta. Non c'era nessuno fuori dalla porta. Sul pavimento individuai un foglio di carta. Lo raccolsi e iniziai a leggerlo.




FAMMI GODERE UN'ULTIMA VOLTA
DOMANI INSERISCI LE PALLINE NELLA FIGA.
TI PREGO.
.




Stizzita, accartocciai il biglietto e lo riposi nella tasca della vestaglia. Andai a coricarmi sul letto e mi addormentai.
La suoneria del cellulare mi destò dal torpore della notte. Guardai l'orologio al polso. Le lancette segnavano le dieci.
- Pronto!
- Ti sei dimenticata che avevamo un appuntamento?
- Giusy, sei tu?
- E chi altro, cretina!
- Mi devi scusare. Alle otto ero sveglia, poi mi sono riaddormentata
- Ti sto aspettando da un quarto d'ora. Sono al Bistrot, ho fatto colazione e ora andrò in giro da sola. Sei una stronza!
- Hai ragione. Se vuoi ci vediamo fra mezz'ora. Ti raggiungo in centro.
- Sarà per un'altra volta. Ciao!
Uscii dal torpore in cui ero sprofondata e riconsiderai il significato del messaggio che avevo ricevuto la sera precedente. Se il mio bellimbusto desiderava che infilassi le sfere nella figa, era perché aveva intenzione d'incrociarmi da vicino. In questo caso sarei riuscita a sapere chi era.
Entrai nel box della doccia e un getto d'acqua calda bagnò il mio corpo. Detersi la pelle con un sapone liquido profumato. Purificai ogni anfratto, anche quello che avrebbe dovuto accogliere le biglie. Poco prima di uscire di casa introdussi le sfere nella figa.
Uscendo dall'ascensore mi trovai a camminare con passo incerto, ancora non mi ero abituata alle due boccette che tenevo racchiuse nella tana fra le cosce. Nell'atrio non incontrai nessuno, proseguii verso la porta a vetri e mi trovai a camminare sul marciapiede.
Andavo a spasso e avevo l'impressione di avere puntati su di me gli occhi della gente. La mucosa della passera era sollecitata dal battito delle palline che percuotevano l'involucro sferico che le raccoglieva.
Avevo timore che il suono fosse percepito dalle persone che mi stavano intorno. Mi allontanai da casa cercando di assumere un'andatura disinvolta. Calzavo un paio di scarpe con tacchi alti e camminare non mi riusciva per niente facile. Le sfere si muovevano leggermente stimolandomi la passera. La cosa mi eccitava e avevo addosso una strana sensazione di piacere.
La giornata era splendida. Mentre camminavo avevo l'impressione d'essere osservata dagli uomini più che in qualsiasi altra circostanza. L'assuefazione alle biglie mi consentì di accelerare il passo. Lo sfregamento era continuo e piacevole. Ero eccitatissima con i seni gonfi e i capezzoli turgidi. Avrei voluto masturbarmi, ma non sapevo dove andare a farlo. Così ci rinunciai.
Tornai a casa verso l'ora di pranzo. Dinanzi al condominio trovai parcheggiato un camion dei traslochi. Mobili e masserizie erano accatastati dinanzi l'automezzo. Incrociai due operai intenti a trasportare un pensile da cucina. Entrai nell'atrio e vidi il signor Pecorari, uno degli inquilini del quarto piano, che sbraitava contro uno degli operai.
- Stia calmo signor Pecorari, non se la prenda in questo modo. - lo redarguii.
- Vorrei vedere lei al mio posto. Pago profumatamente questi operai per effettuare il trasloco e loro mi rompono gli oggetti.
- Va ad abitare altrove?
- Sì, con la mia famiglia andiamo ad abitare in collina.
- Le faccio i miei auguri.
L'ascensore era occupato. Trascorsero alcuni secondi e la porta si aprì. Ne uscì Giancarlo, il figlio del Pecorari, accompagnato dalla madre. Nella mano stringeva una cordicella su cui erano collegate due sfere simili a quelle che avevo inserito nella passera. Mi guardò e sorrise. Sua madre lo trascinò via trattenendolo per mano.
- Andiamo ad abitare in collina.
- Lo so me lo ha detto suo marito.
- Beh, arrivederci. Se viene dalle nostre parti ci venga a trovare.
- Volentieri.
- Saluta Erika, Giancarlo, fai il bravo.
Il ragazzo allungò la mano che stringeva le sfere e le lasciò cadere nella mia mano. Stavo per restituirgliele, ma se n'era già andato insieme alla madre.
Lo vidi sparire nel viottolo che conduceva nella strada. Si girò un ultima volta nella mia direzione e mi strinse un occhio.
La vita è buffa pensavo che l'autore delle missive fosse un playboy o un bellimbusto, invece era solo un ragazzo. Purtroppo non c'è peccato peggiore che il rimpianto.

 
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