PASSIONE MOLESTA, di Farfallina

« Older   Newer »
  Share  
<Jocker>
view post Posted on 12/2/2011, 13:03     +1   -1







Le poltroncine della sala d'aspetto sono occupate da uomini e donne in attesa di essere chiamati nell'ambulatorio. I loro volti appaiono tesi, preoccupati, marcati dalla sofferenza. Molti pazienti sono accompagnati da famigliari più interessati a scambiare commenti fra loro piuttosto che assistere i congiunti. Mi affaccio sulla porta dell'ambulatorio e comunico il nome del paziente che dovrà entrare per primo nella stanza.
- Si accomodi il signor Lucchini.
Dal fondo della sala, accanto alla finestra che si affaccia sul parco, si fa largo un giovanotto. Tiene una mano accostata all'addome, a protezione di una ferita, probabilmente, e viene nella mia direzione a passo lento.
- Si accomodi, prego. - gli dico.
Lascio che mi preceda nello studio medico e chiudo la porta alle nostre spalle.
- Lei si chiama?
- Giuseppe Lucchini.
Dal cumulo di cartelle cliniche accatastate sulla scrivania prendo la sua e la sfoglio.
- Nato il...
- 14.12.1982.
Verifico i dati anagrafici con quelli riportati sulla cartella clinica. Leggo con attenzione le note sull'intervento chirurgico a cui è stato sottoposto e apprendo che si tratta di una appendicectomia.
- Come sta? Tutto bene?
- Speravo di stare meglio, invece la ferita continua a dolermi.
- Febbre ne ha avuta?
- Qualche linea, verso sera.
- Non stia a lamentarsi. In fin dei conti si tratta di un banale operazione chirurgica di appendicectomia. Un ragazzo robusto come lei dovrebbe superare gli esiti dell'intervento senza troppi problemi.
- Sì, però...
- Tolga camicia e pantaloni, poi si accomodi sul lettino, fra poco il medico sarà qui da lei.
Il giovane si libera della camicia e dei pantaloni. Si corica supino sul lettino e resta in attesa che gli tolga il bendaggio dalla ferita. Dal carrello delle medicazioni prendo un paio di guanti in lattice e l'indosso, poi mi avvicino al giovane.
- Tutto bene?
- Sì, per ora sì...
- Sollevi la canottiera e scopra l'addome.
La ferita chirurgica, coperta dalla garza della medicazione, appare chiazzata di siero.
- Le spiace se le do del tu?
- No, anzi, mi fa piacere. Qui sembra tutto così impersonale.
- Non sei originario di Parma, vero?
- No, i miei sono nativi di un piccolo paese in provincia di Foggia. Io però sono nato a Parma.
Lo guardo in viso e sono piacevolmente colpita dal colorito bruno della pelle, tipico degli uomini del sud. Senza troppi preamboli l'invito ad abbassare i boxer. Lui solleva il bacino e fa scendere l'elastico sino sotto i testicoli. Osservo con curiosità il cazzo. Le dimensioni sono proporzionate al fisico del giovane. Il glande non è scappellato ed appare coperto da una pelle sottile che ne abbraccia la forma conferendogli un aspetto seducente.
- Adesso levo via la medicazione, ma non ti farò male, lo prometto.
Senza troppi convenevoli strappo la garza che ricopre la ferita. Lui reagisce con un sussulto.
- Ti ho fatto male?
- No. Probabilmente è solo suggestione la mia.
- A proposito cosa fai nella vita. Studi?
- Frequento il Liceo Verdi. Fra un mese dovrò sostenere l'esame di maturità.
Ormai ha superato la soggezione iniziale e parla liberamente. Mentre procedo nella medicazione della ferita gli osservo i lineamenti del viso. Le labbra, leggermente in rilievo, mettono in bella evidenza la dentatura bianca e bene allineata. Gli occhi, di un marrone scuro, sono sovrastati da sopracciglia nere e spesse dello stesso colore dei capelli ricci. Sulle guance e sul mento sono evidenti le tracce di una barba ben rasata che gli conferisce un aspetto maturo, più della sua giovane età.
- Come va? Tutto bene?
La voce del chirurgo, che nel frattempo ha fatto la sua comparsa nella stanza, viene a interrompere i nostri discorsi. Il medico si avvicina al lettino. Scruta l'addome e preme le dita sulla cicatrice. Una goccia di siero fuoriesce dalla ferita.
- La ferita è a posto, c'è rimasto solo un po' di siero, ma è abbastanza normale nei casi come questo. Dovrà effettuare un breve ciclo di antibiotici. Le preparo la ricetta. Dovrà fare ritorno al nostro ambulatorio fra una settimana per un controllo. Va bene?
Il chirurgo getta i guanti in lattice nel cesto dei rifiuti medicali e, dopo avere compilato la ricetta, abbandona la stanza per recarsi nell'ambulatorio attiguo.
- Rapido e coinciso. - mormora Giuseppe, dopo che il medico è uscito dalla stanza.
- Non ti preoccupare. I pazienti da visitare sono tanti, ma il personale medico è carente, così i chirurghi si arrabattano da un ambulatorio all'altro. L'importante è che assumi gli antibiotici che ti ha prescritto. Mi raccomando, eh!
Effettuata la medicazione lo invito a sollevare i boxer verso l'addome. L'elastico s'infila alla radice dei testicoli e spinge il cazzo verso l'alto. Istintivamente afferro lo scroto nella mano e con l'altra sollevo i boxer. Le mutante risalgono l'ostacolo e si posizionano sull'addome. Il gesto mi mette in imbarazzo. Vorrei apparire disinvolta ma non mi riesce. Una vampata di calore mi colora le guance.
- Allora ci rivediamo nei prossimi giorni. - dice mentre scende dal lettino e comincia a rivestirsi.
- Sì, certo. Prendo l'agenda e ti do l'appuntamento per la prossima visita.
Apro il taccuino e cerco uno spazio libero.
- Ci rivediamo fra sette giorni. Venerdì alle 10.30. Va bene? Tu però da lunedì puoi fare ritorno a scuola.
- Ti saluto e... grazie di tutto. Quando torno per il controllo della medicazione spero di ritrovarti qui. A proposito, qual è il tuo nome?
- Erika.
- Erika? E' davvero un bel nome. Complimenti!

* * *

E' trascorso più di mese dal giorno che ho preso servizio al Day Surgery. La caposala, dopo il periodo di tirocinio, mi ha inserito a tempo pieno nei turni di sala operatoria, saltuariamente presto servizio nell'ambulatorio chirurgico.
Oggi è sabato e posso occupare il tempo libero a fare dello shopping nelle vie del centro. Quando raggiungo Piazza Garibaldi lascio la bicicletta in una delle rastrelliere che fanno cornice al monumento dell'eroe dei due mondi. Mi incammino verso Via Cavour soffermandomi di tanto in tanto a guardare le vetrine. Dinanzi al negozio della Fatam contemplo i capi di lingeria esposti in bella mostra. Sono intenta a guardare un magnifico reggiseno quando sento pronunciare il mio nome. Mi giro e alle mie spalle scorgo un ragazzo.
- Non ti ricordi più di me?
Imbarazzata lascio trascorrere alcuni secondi prima di rispondere.
- Sì, certo che mi ricordo, ci siamo incontrati in ospedale, vero?
- E' successo un mese fa, mi hai medicato quando sono venuto in ambulatorio per fare il controllo di una medicazione, poi non ti ho più rivista.
- Come stai? Tutto bene?
- Sì, certo... dopo la convalescenza ho preparato l'esame di maturità senza troppe complicazioni.
- Ah! E sei stato promosso?
- E' ancora presto per dirlo, lunedì dovrò sostenere le prove orali, solo allora saprò se sono maturo.
Rispetto a quando l'ho conosciuto sembra più disinvolto e sfacciato. Non distoglie nemmeno per un attimo lo sguardo sulla scollatura della camicetta. E' vestito in modo casual, con un look adatto alla sua giovane età. Indossa dei jeans e ai piedi calza delle Reebok nere. La maglietta bianca, aderente il torace, disegna dei pettorali piuttosto sviluppati. Il colore della pelle appare bruno per l'abbronzatura.
- Allora ti saluto. - dico.
- Non mi fai gli auguri?
- Sì certo... in bocca al lupo.
- Crepi!
Mentre entro nel negozio scorgo l'immagine del ragazzo riflessa sul vetro della porta d'ingresso. Se ne sta fermo alle mie spalle e sembra osservare la figura del mio corpo.

* * *

E' domenica pomeriggio. La giornata è caldissima. Il sole rovente mi cuoce la pelle. Distesa sul lettino prendisole sto ad abbronzarmi sul terrazzo del mio appartamento. Stamani, guardandomi allo specchio, mi sono stupita nel costatare la comparsa di numerosi brufoli sul viso; segno evidente che il mio corpo reclama qualcosa di maschio, purtroppo non sono sufficienti le dita delle mie mani ad appagare la voglia che ho di sesso.
Lascio cadere sull'addome il libro che sto leggendo e divarico le gambe. Fletto le ginocchia, appoggio i piedi in terra, e inglobo i seni nelle mani. Li guardo mentre li soppeso. Sono abbondanti, sodi, sicuramente molto appetibili agli uomini. Penso che sarebbe piacevole farmeli succhiare dal ragazzo che ho incontrato davanti alla Fatam. In cambio potrei spremergli il cazzo.
Fantastico a occhi aperti per il resto del pomeriggio alternando la lettura del romanzo alle immagini del giovane che ho bene impresse nella mente.

* * *

Una moltitudine di persone affolla la sala d'aspetto dell'ambulatorio come succede ogni lunedì. Per tutta la mattinata sono stata impegnata nel fare medicazioni, poi nelle prime ore del pomeriggio, dopo che ho provveduto a eseguire il riordino della sala di medicazione, mi metto alla ricerca della cartella clinica di Giuseppe.
Nella pagina iniziale della cartella clinica, accanto ai dati anagrafici, c'è inserito il domicilio e il numero di telefono. Non mi faccio scrupolo, afferro la cornetta del telefono e digito il numero sulla tastiera. Dopo una breve serie di squilli una voce maschile risponde all'altro capo del filo.
- Giuseppe?
- Si, sono io. Con chi parlo?
- Ciao! Sono Erika. Ci siamo incontrati sabato mattina, hai presente? Volevo sapere da te com'è andato l'esame.
- Ah, sei tu... L'esame è andato bene. Anzi! Ho fatto un figurone, pensa che ho ricevuto i complimenti dei commissari.
- Sono contenta per te. Allora questa sera andrai a festeggiare con gli amici o con la tua ragazza.
Non risponde immediatamente, lascia trascorrere alcuni secondi poi riprende a parlare.
- No. Questa sera penso che rimarrò a casa a guardare la tivù.
- Allora sai cosa faccio? T'invito io, sempre che non ti vergogni a uscire con una donna che ha quindici anni più di te.
- Magari! Dici davvero? Non è uno scherzo, vero?
- No, dico sul serio. Ti sta bene se ci vediamo alle nove e mezzo in Piazza Garibaldi? Al bar Centrale.
- Sì, certo.
- Bene, allora siamo d'accordo. Ciao!... ancora felicitazioni per la maturità.
Ripongo la cornetta soddisfatta e guardo i capezzoli che premono, turgidi, contro il tessuto della camicetta.

* * *

Giuseppe sta ad attendermi a uno dei tavolini del bar Centrale. Dinanzi a lui c'è una coppa da gelato vuota.
- Scusa il ritardo, non è stato facile trovare un posto dove parcheggiare l'automobile.
- Non importa, nel frattempo ho consumato un gelato. Posso ordinare qualcosa per te?
- Sì, una Perrier, grazie!
A un cenno di Giuseppe il cameriere si avvicina e prende l'ordinazione.
- Complimenti! Sei molto elegante.
- Vado sempre vestita in maniera sportiva quando esco da casa la sera.
Invece non è per niente vero. Ho trascorso l'intero pomeriggio dinanzi allo specchio a provare camicie e gonne di ogni tipo, infine la scelta è caduta su una canotta trasparente e dei pantaloni, color bronzo, con grandi tasche. Ai piedi, per rendere tutto più sexy, calzo un paio di scarpe sufficientemente eccentriche, con un appuntito tacco a stiletto. Lui indossa un paio di jeans e una polo gialla marchiata dal coccodrillo della Lacoste.
- Beh, non mi racconti come è andato l'esame?
- Te l'ho detto, è andato bene, meglio di così non sarebbe potuto andare.
- Allora festeggiamo! Perché non andiamo a Salsomaggiore? Lì c'è un po' di vita, qui è un mortorio!
- Lo farei volentieri, ma non ho né l'auto né la patente.
- Che importa, ce l'ho io la macchina, dai andiamo!
Abbandoniamo il tavolo e, dopo che ha pagato le consumazioni, ci dirigiamo verso l'auto che ho parcheggiato poco distante dal Teatro Regio.
La serata è calda e l'umidità soffocante. La mia auto, una Opel Tigra, è dotata d'impianto di climatizzazione. Effettuiamo il viaggio verso Salsomaggiore senza scioglierci in un bagno di sudore. Trascorriamo la serata allo Slam Club, un locale con piano bar dove balliamo per il resto della serata. Alle due di notte mi faccio più audace.
- Senti... perché non concludiamo la serata a casa mia? Qui c'è troppo casino, ti offro qualcosa da bere, ascoltiamo un po' di musica, poi ti riaccompagno a casa, ti va? La mia proposta non lo trova impreparato, ma riesce a pronunciare un semplice:
- Sì.
Sulla via del ritorno ci scambiamo solo poche parole. La musica dell'autoradio riempie il silenzio che accompagna il nostro rientro verso Parma.

* * *

- Accomodati sul divano, vado un attimo in bagno e sono da te. - dico appena superata la soglia di casa.
Le mie intenzioni dovrebbero essergli chiare. Per tutta la sera l'ho circuito compiacendolo, anche mentre ballavamo e mi stringeva a sé le natiche.
Quando torno nella stanza, dopo essermi risistemata i capelli davanti allo specchio, Giuseppe ha acceso la tivù e guarda un film.
- Posso offrirti qualcosa da bere?
- Sì, una Coca-Cola, grazie.
Prendo dal frigorifero due lattine di Coca-Cola e dalla credenza i bicchieri. Appoggio tutto sul tavolino che sta dinanzi al divano.
- Cosa c'è di bello alla tivù?
- Un vecchio film francese, di quelli che annoiano.
- E tu sei venuto qua per vedere un film francese?
La mia domanda, così esplicita da non essere fraintesa, lo lascia titubante.
- Vieni qua, avvicinati. - dico.
Timoroso, ma non troppo, si accosta a me. Infilo la mano fra le sue cosce e gli accarezzo il pacco.
- Ho voglia di fare l'amore con te. - gli sussurro a un orecchio.
Lui gira il capo, stringe il mio viso fra le mani e, con l'irruenza di chi è giovane, preme le labbra sulle mie. La sua mano, tutt'altro che incerta, s'insinua sotto la mia canotta di cotone e mi accarezza i capezzoli.
- Piano... piano... Così mi fai male.
- Scusa non volevo. - precisa dopo avere retratto la mano.
Mi alzo in piedi e mi posiziono davanti a lui. Sollevo la canotta e mi libero dei pantaloni che lascio cadere sul pavimento dinanzi al divano. Resto nuda con solo le mutandine addosso.
- Vieni qua. - dico.
Giuseppe si alza e si mette in piedi di fronte a me. Con le dita faccio risalire la Lacoste sopra il capo, sfilandogliela. Il petto, nonostante la giovane età, è villoso. Cosa che mi era parso d'intravedere durante la visita nell'ambulatorio. Sull'addome, in basso a destra, è ben visibile il segno della ferita chirurgica ormai cicatrizzata. Slaccio la cinghia dei pantaloni e glieli faccio scendere fino a scoprirgli gli slip.
Le dimensioni del cazzo, nascosto sotto il tessuto, non lasciano dubbi sullo stato di eccitazione di Giuseppe. M'inginocchio ai suoi piedi e con le mani mi aggrappo agli slip che faccio scendere sulle cosce. Il cazzo, liberato dall'involucro che lo teneva ingabbiato pulsa di continuo. I vasi sanguigni che sovrastano in più punti la sua superficie sono ingrossati e disegnano tanti piccoli condotti.
Afferro il cazzo con le dita e mi preparo a scappellarlo. Lo faccio lentamente, scoprendo poco per volta la cappella dall'esile tessuto che la protegge. Poso la lingua sui testicoli e inizio a leccarli, uno dopo l'altro, riempiendomi la bocca di lunghi peli, mentre con la mano, continuo a lavorargli il cazzo, masturbandolo, lentamente.
La sacca cutanea che avvolge i testicoli si è fatta compatta. Introduco una palla fra le labbra e la succhio. Giuseppe ha un sussulto provocato dall'eccessiva foga che sto mettendo nell'azione. Risalgo con la lingua il cazzo fino a inglobare la cappella nelle labbra. I movimenti delle sue anche accompagnano il cazzo in profondità nella mia bocca senza troppo riguardo. Glielo stringo nella mano impedendo che scivoli in avanti togliendomi il respiro.
Con la punta della lingua mi soffermo a leccargli il frenulo. Giuseppe si ritrae, allarmato. Torno a succhiargli la cappella. Lui sembra rilassarsi e godere della pressione che le labbra esercitano sulla esile superficie. Le mani che teneva composte ai fianchi, mi afferrano il capo da dietro e accompagnano i movimenti della bocca. Mi piace succhiare il cazzo agli uomini, farlo mi fa sentire padrona di chi mi sta davanti, ma adesso ho voglia essere penetrata al più presto.
- Coricati sul tappeto, dai... - gli dico.
Giuseppe non se lo fa ripetere una seconda volta, si mette supino sul tappeto nell'attesa che mi decida a proseguire nell'azione. Dall'alto osservo la sua cassa toracica che si espande seguendo il ritmo del respiro. Il cazzo sta ai miei piedi, ritto, turgido, oggetto di desiderio, ma sarò io a decidere quando e come mi farò penetrare.
Rimango immobile sopra Giuseppe e lo guardo dall'alto al basso. Mi libero delle mutandine e lascio che gusti lo spettacolo della fica che ho rasata tutt'intorno apposta per lui. Ferma, con le gambe leggermente divaricate, gli mostro la fenditura delle grandi labbra rosee, poi inizio a toccarmi.
Intingo le dita nella bocca e le detergo di saliva, poi inizio a strofinare il clitoride. Giuseppe allunga le mani sulle mie gambe, quasi a volere raggiungere il prezioso tesoro che custodisco fra le cosce.
Sono in una condizione di completo dominio e la sto esercitando su un ragazzo. Questo accresce la mia eccitazione e la voglia di essere penetrata al più presto. Piego le ginocchia e appoggio le natiche sulle sue cosce. Sollevo il bacino, afferro il cazzo e lo infilo dritto nella fica. Quando mi penetra un brivido di piacere percorre il mio corpo ed emetto un gemito di soddisfazione.
- Sì... scopami!... scopami! Con tutta la forza che hai. Fammi godere... fammi godere.
Seduta sopra il suo corpo gli struscio i glutei sulle anche in modo che il cazzo mi penetri in profondità fino a sfondarmi l'utero. Gli accarezzo il petto dilungandomi nel pizzicargli i capezzoli. Lui mi lascia fare, impacciato. Con nessun altro uomo mi è capitato di padroneggiare il rapporto come sto facendo con lui e questo da più gusto al nostro rapporto.
- Dillo che ti piace fare l'amore con me. - dico, mentre tutta sudata trascino il cazzo nel profondo della fica.
- Dillo dai... dillooo!
Il suo viso tutt'a un tratto cambia d'espressione. Abbandona l'aria timorosa che ha mantenuto nel corso di tutta la serata. Sfila il cazzo dalla fica e mi allontana da sé. Con le possenti braccia mi trascina sul tappeto, mi mette carponi e si pone dietro di me.
Inginocchiata con il palmo delle mani appoggiate sul tappeto resto in attesa che m'infili il cazzo nella fica. So bene quanto piaccia agli uomini la posizione alla pecorina. Mi intinge le dita nella fica e le avvicina all'orifizio anale inumidendolo col secreto. Preme un dito sullo sfintere e mi penetra. Sbalordita mi scosto in avanti lasciandomi cadere su un fianco. Il dito si sfila. Mi giro verso Giuseppe stizzita.
- Ma che fai? Non voglio!
Un manrovescio mi colpisce in pieno volto provocandomi la fuoriuscita di sangue dal naso.
- Ma che ti prende? Sei impazzito? - grido, mentre cerco di tamponare il sangue che copioso esce dalle narici.
Sto per alzarmi, ma un pugno, cui ne fa seguito un altro, mi colpisce alla tempia. Crollo sul pavimento intontita. Giuseppe mi solleva l'addome e mi rimette carponi. Non ho la forza di reagire. Sento il cazzo premere contro lo sfintere e subito dopo mi sento penetrare. Un dolore acuto mi fa trasalire. Superato l'ostacolo iniziale il cazzo comincia a muoversi nel mio intestino a ritmi regolari. Terrorizzata non so reagire. Ho paura.
- Dillo che ti piace. Troia!
Quello che sento è solo un profondo dolore. Le lacrime mi scendono copiose dagli occhi mescolandosi al sangue che fuoriesce dalle narici. Tiene le mani aggrappate ai mie fianchi su cui fa forza tenendomi ancorata a lui.
Il cazzo, male lubrificato, si muove a fatica nello sfintere provocandomi molta sofferenza. Avverto disgusto, nausea, vomito. Mi auguro soltanto che il supplizio termini al più presto.
- Era questo che cercavi, no? Volevi farti sbattere? E io sono qui per questo, le conosco bene le troie della tua età.
Il ritmo della sua azione si fa incalzante. Stringe con veemenza i miei fianchi attirandomi a sé. L'eccessivo ansimare precede l'orgasmo. Serro lo sfintere appena sfila il cazzo e un bruciore intenso mi prende l'ano, mi accascio sul pavimento umiliata e piango.
- Dai, non fare la vittima. Cosa ti aspettavi, l'amore? E' stato bello, invece, con le mie compagne di scuola è un gioco che pratichiamo spesso. A tutte loro piace essere inculate da me.
Il trillo di un telefono interrompe il suo discorso. Giuseppe si scosta, prende dalle tasche dei pantaloni il cellulare e risponde alla chiamata.
- Sì,... lo so che è tardi. Mamma questa è la mia serata d'addio alla scuola, mica vorrai proibirmi di festeggiare? E dove vuoi che sia... con gli amici, fra poco sarò a casa non ti preoccupare. Ciao! Ciao!
- E' giunto il momento di togliere il disturbo. Non ti chiedo di accompagnarmi, tanto la strada la conosco. La notte è fresca e una passeggiata mi farà bene.
Si riveste senza fretta incurante della mia presenza. Rattrappita su me stessa, ancora tremante, resto adagiata sul tappeto nell'attesa che si allontani. Prima di congedarsi spegne la tivù servendosi del telecomando che scaglia sul divano.
- Ciao!
La porta dell'appartamento si chiude dietro di lui, ancora una volta mi ritrovo sola, confusa e mortificata. Troia? Forse, ma l'unico mio errore è la solitudine.

 
Top
0 replies since 12/2/2011, 13:03   125 views
  Share