LA SIGNORA DEL TERZO PIANO, di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 1/2/2011, 21:30     +1   -1




Seduto a un tavolo del Caffè Verdi stavo in attesa di una donna. Sarebbe dovuta comparire da lì a poco sul marciapiede dinanzi alla caffetteria. Accadeva ogni giorno alla stessa ora.
Conducevo il medesimo appostamento da poco più di un mese. Non era un capriccio il mio, ma una necessità. Lei pareva non essersi accorta della mia presenza, nonostante mi soffermassi a guardarla intensamente ogni volta che transitava dinanzi a me.

La giornata era uggiosa, piovigginava a gocciole rade, come spesso succede in novembre quando l'atmosfera è ricca di condensa di vapore acqueo. Avvistai la sua figura quando era lontana una decina di metri dal mio punto di osservazione. Indossava un impermeabile sportivo, fiore di latte, con cintura alla vita. Manteneva il bavero lievemente rialzato. Un foulard di seta azzurro, dello stesso colore dell'ombrello, le fasciava il capo.
L'aspetto era di una donna non più giovane, ma ancora piacente. Mostrava d'avere poco meno di quarant'anni, non di più. I lineamenti del viso, delicati e privi di rughe, le conferivano un aspetto fine ed elegante. Mi alzai dalla sedia e mi avviai verso l'uscita. Al cameriere lasciai un biglietto da dieci euro: molto più del costo della mia consumazione, senza preoccuparmi di ricevere il resto.
Mi ritrovai sul marciapiede determinato a seguire la mia preda da vicino, come avevo fatto in altre occasioni, anche se non avevo mai trovato il coraggio di bloccarla come invece avrei desiderato fare.
Il trench nascondeva la silhouette di un corpo denso di curve e appetibile agli occhi di molti uomini. Procedeva a zig-zag sul marciapiede incuneandosi fra i passanti che riempivano le banchine ai lati della strada. Scansava le persone che la precedevano e quelle che le venivano contro come fosse in ritardo a un appuntamento.
Sotto i portici dell'Ospedale Vecchio chiuse l'ombrello e proseguì più spedita, al riparo dalla pioggia, fino all'imbocco di Vicolo Grossardi. Girò nella strada angusta, percorse un breve tratto di strada tenendosi rasente al muro delle case, poi infilò un portone di un caseggiato recentemente ristrutturato, lo stesso in cui l'avevo vista entrare nei giorni precedenti, e da cui era uscita solo dopo essersi intrattenuta per lungo tempo.
Mi fermai a poca distanza dal casamento, sul marciapiede opposto a quello del portone dove si era infilata. Al riparo, sotto l'ombrello, rimasi a osservare la facciata dell'edificio chiedendomi, per l'ennesima volta, qual era il motivo che la conduceva ogni giorno in quel luogo per uscirne dopo un paio di ore.
Della sua persona tutto mi era sconosciuto, perfino il nome, eppure durante quegli appostamenti mi ero fatto la convinzione che fosse una donna affidabile, riflessiva, e soprattutto sincera, molto diversa dalle donne che avevo conosciuto prima di incappare in lei, e forse in questo non mi ero sbagliato.
A differenza delle precedenti circostanze stavolta decisi di dare seguito alla mia curiosità. Attraversai la strada e mi avvicinai al portone che trovai socchiuso. Varcai la soglia e m'incamminai per un angusto corridoio che conduceva a un cortile interno.
L'edificio, a tre piani, aveva un aspetto sinistro. Incominciai a salile le scale che conducevano ai piani superiori con la poca luce che filtrava dalle feritoie adiacenti il cortile. Della misteriosa donna non c'era traccia. Gli scalini in cotto su cui poggiai i piedi, risalendo le scale, erano consumati nella parte centrale. Avanzai con cautela facendo ricorso al corrimano di legno per evitare di scivolare.
Quando raggiunsi il pianerottolo del primo piano trovai tre porte disposte sui quattro lati. Accostai l'orecchio a quella centrale prestando attenzione ai rumori che provenivano dall'interno.
Il fragore di spari ed esplosioni, tipico dei film d'azione, erano segnali inequivocabili che gli inquilini stavano guardando la tivù. Mi avvicinai alla porta più distante dalla tromba delle scale, appoggiai l'orecchio allo stipite di legno, e percepii il rumore di una discussione fra due uomini. Dalla terza porta arrivavano le note musicali di un brano sinfonico.
Prima di proseguire nella mia ricerca mi soffermai a leggere i nominativi incisi sulle targhe in ottone appiccicate ai legni delle porte. Nessuno di quei nomi di famiglie mi suggerì qualcosa di particolare.
Passai oltre e andai al piano superiore, poi all'ultimo piano dell'edificio senza smettere di origliare alle porte, consapevole che uno degli inquilini avrebbe potuto, da un momento all'altro, fare la sua comparsa mentre ero impegnato a origliare.
Stavo con l'orecchio accostato a una porta, intento ad ascoltare i rumori che provenivano dall'interno di uno degli appartamenti, quando lo scampanellare di un telefono e la successiva risposta di una voce femminile mi fece intuire che l'abitazione poteva essere quella dove aveva trovato rifugio la misteriosa donna che avevo pedinando.
Rimasi immobile, coi piedi ancorati allo zerbino, ad ascoltare i rumori che provenivano oltre la porta. Quando la voce si esaurì sopraggiunse al mio orecchio il rumore provocato dal calpestio di tacchi. Tutt'a un tratto la porta si aprì e apparve lei, la mia donna.
Sorpresi entrambi dalla presenza dell'altro restammo a lungo a fissarci, poi senza dirle una parola, calamitati dalle labbra, ci scambiammo un tenero bacio come in precedenza avevo visto fare soltanto in qualche film francese.
La sua bocca era bollente come il resto del corpo. La strinsi fra le braccia e l'attirai a me. Restammo nel pianerottolo, avvinghiati l'uno all'altro, torcendoci le labbra come due innamorati. Penetrai la sua bocca con la lingua e lei emulò il mio gesto ficcandola nella mia bocca.
L'eccitazione ebbe il sopravvento. Lasciai cadere le mani nell'intimo dell'ingombrante maglione di lana che indossava, sotto la vestaglia da lavoro, e fui lesto a inglobarle le tette nelle mani.
Non indossava il reggiseno. Le forme delle mammelle, tonde e sode, non erano troppo grosse: giusto il genere di sporgenze che prediligo in una donna. Lei mi lasciò fare, senza opporre resistenza, e io non trovai di meglio che abbandonarmi a esplorare con le mani i capezzoli che avvertii turgidi fra le dita.
Il contatto le provocò un leggero fremito, inarcò la schiena all'indietro e ansimò in modo profondo. Assorbii fra labbra e lingua la sporgenza carnosa di una mammella e iniziai a succhiarla come un lattante. Lei prese a mugolare di piacere e io proseguii nella mia azione carezzandole l'altra mammella. Tutt'a un tratto la sua mano scivolò sulla patta dei pantaloni e mi abbassò la lampo. Cominciò a masturbarmi senza pudore alternando rapidi movimenti delle dita ad altri lenti e ancora più eccitanti.
Trovarmi sul pianerottolo nella condizione di essere scoperto da qualche condomino rese la situazione oltremodo eccitante. Feci scivolare una mano sotto la gonna intenzionato a raggiungere la fica. Non portava collant, ma calze autoreggenti. Intrufolai le dita sotto il tessuto delle mutandine intenzionato a ficcargliele fra le cosce.
Lei fu più rapida delle mie dita, mi trascinò dentro la porta senza chiuderla alle nostre spalle, sfilò gli slip e li fece scendere lungo le gambe fino a farli cadere sul pavimento. Appoggiai la schiena contro il legno della porta. Le abbrancai le natiche e la sollevai di peso da terra. Lei allargò le cosce e si affrettò a serrarle attorno ai miei fianchi.
Aiutandomi con la mano guidai il cazzo nella fica, facilitato dalla copiosa secrezione di cui era impregnata la mucosa. Iniziai a incalzarla con colpi di bacino, spingendo il cazzo più in profondità che potevo.
Avevo il fiato grosso e respiravo con affanno, lei invece mugolava di piacere premendo la bocca all'attaccatura del mio collo.
Le sborrai nella fica senza nessuna precauzione urlando di piacere nel momento in cui giunsi all'orgasmo. Lei si arricciò con le cosce tutta su di me e pronunciò un'unica parola:
- Sì... sì... sì... sì. sì.
Sazi dei baci e delle carezze che c'eravamo scambiati, incuranti degli inquilini che nel frattempo si erano sporti nei pianerottoli dei piani inferiori chiedendosi qual era l'origine dei rumori, ci accomiatammo scambiandoci un semplice:
-Ciao!
Prima di discendere le scale diedi un'occhiata alla dicitura che stava impressa sulla vestaglia da lavoro indossata dalla mia occasionale compagna. Allora mi fu chiaro cosa andava a fare in quella casa.
 
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