LA DEGENTE, di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 10/1/2011, 22:53     +1   -1




Le infermiere si affrettano a riassestare il letto lasciato libero da una degente. Provvedono a disinfettare l'armatura metallica del telaio, capovolgono il materasso, dopodiché riordinano il comodino.
Seduta su una sedia, nel corridoio della clinica, una anziana donna sta in attesa di occupare quel letto. Mentre osservo la scena non posso fare a meno di pensare che Elena ha giaciuto su quel materasso. Dopo di lei altre donne lo hanno occupato. Molte hanno preso la strada di casa, altre quella dell'obitorio.
Con Elena feci conoscenza nella primavera scorsa durante uno dei miei turni notturni di guardia in clinica. Stavo dormendo quando, poco dopo mezzanotte, una delle infermiere chiese il mio intervento citofonandomi dal reparto.
- Dottore, è arrivato un ricovero dal pronto soccorso.
- Vengo subito.
Mi alzai da letto, infilai i pantaloni e il camice, dopodiché abbandonai la stanza che ospita il medico di guardia. Quando mi presentai nell'ambulatorio delle urgenze, sdraiata sopra il lettino, trovai una donna semi incosciente.
"Avvelenamento da barbiturici", fu quello che trovai scritto sul foglio di ricovero che l'infermiera si premurò di consegnarmi. Il referto stilato dal medico del Pronto Soccorso includeva l'elenco dei provvedimenti terapeutici messi in atto dopo il ricovero. La lavanda gastrica a cui era stata sottoposta aveva risolto l'effetto devastante dei farmaci ingeriti, non mi restò che prendere atto delle cure già effettuate e tenerla sotto costante osservazione.
Andai alla ricerca del battito di un'arteria tastandole il polso. Il ritmo era bradicardico. Le pulsazioni al disotto delle cinquanta il minuto. Fissai la fascia dell'apparecchio della pressione attorno il braccio, dopodiché premetti più volte la pompa dell'aria lasciando che il mercurio scendesse lentamente lungo la colonnina. La pressione massima era di 85 mm. La minima misurava 60 mm.
- Mettiamole una fisiologica da 500 c.c. poi eseguiamo un elettrocardiogramma - dissi rivolto a una delle infermiere che mi assistevano.
Il colorito del viso della donna era di un pallido disarmante, ma non tale da preoccuparmi. Lo studio della semiologia mi ha insegnato che nei casi di avvelenamento da barbiturici è normale che il paziente presenti un colorito pallido.
La donna mostrava una trentina d'anni o poco più. Il viso, privo di trucco, le conferiva un'aria angelica. I capelli di colore castano avevano delle striature più scure. Indossava una vestaglia da camera che le lasciava scoperte le gambe e i piedi. Una delle infermiere ripose l'elettrocardiografo a lato del lettino, allontanò i lembi della vestaglia e le tolse il reggiseno. Le tette erano perfette nella loro forma. Le areole dei capezzoli, di colore nocciola, apparivano estese con le punte stranamente inturgidite.
L'infermiera dispose gli elettrodi sulla parete toracica di sinistra fino ad arrivare al cavo ascellare. Il pennino dell'elettrocardiografo prese a muoversi. Il tracciato era normale, non c'era nessuna traccia di alterazioni cardiache.
- Va bene, dai, mettiamola a letto. Domani mattina fatele i prelievi di sangue di routine. - dissi rivolto alle infermiere che mi assistevano.
- Controllate piuttosto che i parenti siano stati avvertiti. Se nessuno l'ha fatto, informate il posto di polizia dell'ospedale, ci penseranno loro a contattarli.
L'indomani mattina abbandonai la clinica prima delle 8.00 senza prendermi cura dei pazienti affidati alle mie cure. Tornai in ospedale soltanto nel tardo pomeriggio. A quell'ora sono solito esaminare i referti degli esami ematici e di radiologia eseguiti nella mattinata.
La paziente che avevo soccorso nella notte precedente la ritrovai coricata sul letto. Presi la cartella clinica e diedi un'occhiata ai referti degli esami di sangue.
- Come sta signora Ferrari? Lo sa che stanotte ha corso il rischio di lasciarci la vita?
Pronunciai la frase con l'indifferenza di chi da troppo tempo è abituato a convivere con sofferenza e dolore.
- Sto meglio... molto meglio.
Il viso, seppure pallido, aveva perso il colorito spento della notte precedente. La pressione arteriosa e il polso avevano ripreso i valori normali. Semisdraiata sul letto, indifesa, sconcertata dalla singolare situazione in cui era venuta a trovarsi, mi guardò con sospetto.
Diedi un'occhiata alla cartella clinica. Là dove era indicata la professione qualcuno, probabilmente uno dei medici specializzandi, aveva scritto insegnante.
- Allora lei insegna? - dissi spezzando l'alone d'imbarazzo che si era instaurato fra noi.
- Sì, al liceo Manzoni. Insegno lettere e filosofia.
- Ah... bene, da ragazzo avrei voluto frequentare anch'io il liceo. Purtroppo i miei genitori preferirono iscrivermi a un istituto per geometri. Dopo la maturità intrapresi gli studi universitari. E ora eccomi qui a fare il medico.
Pronunciai quelle parole sorridendo. Messa a proprio agio dal mio modo di fare, si lasciò sfuggire un timido sorriso e in quell'attimo colsi nei suoi occhi una luce speciale.
- La lascio riposare, ci vediamo domani mattina. Avrò più tempo da dedicarle. Completeremo la cartella clinica.
Abbandonai la stanza seguito a breve distanza dall'infermiera che per tutto il tempo aveva assistito al colloquio.
- Domani mattina fatele i test per l'epatite e quelli per l'Aids. Gli esami ematici evidenziano un rialzo delle transaminasi, non vorrei che i valori celassero qualche infezione di tipo virale.
Il giorno seguente, come promesso, mi recai da Elena per redigere la storia clinica da inserire nella cartella. Il suo aspetto era migliorato. Sul viso notai un lieve cenno di trucco, segno evidente di un ritorno alla normalità.
- Come sta oggi la mia malata?
- Bene dottore, il momento critico è passato.
Mi accomodai su di una sedia accanto al letto e aprii la cartella clinica.
- Le porrò alcune domande molto personali. Potrebbero sembrarle inopportune, ma non posso esimermi dal fargliele. Innanzi tutto vorrei chiederle cosa è successo.
Elena abbassò le ciglia e intrecciò le dita delle mani con forza, poi iniziò a parlare.
- Ho scoperto che il mio uomo mi tradiva con la migliore delle mie amiche. E' accaduto domenica scorsa quando mi sono assentata da casa per andare a Milano da mia madre. Un improvviso sciopero del personale viaggiante delle ferrovia mi ha costretta a fare ritorno a casa. Nella stanza da letto ho sorpreso mio marito che faceva l'amore con Claudia, una nostra vicina di casa.
Noi donne siamo molto ingenue, anche di fronte all'evidenza sappiamo giustificare le peggiori bugie dei nostri uomini, ma quello che ho visto nella stanza da letto è stato un brusco risveglio. Ho reagito in maniera dissennata ingoiando dei barbiturici per farla finita. Che altro avrei potuto fare?
Ascoltai le sue parole in silenzio senza interrompere la sua confessione. Prestando attenzione al suo racconto mi trovai a rivivere la mia storia con Giovanna, del tutto simile alla sua, con la sola differenza che ero stato io a scoprire mia moglie, nuda, cavalcioni a un uomo che la scopava.
Dopo quella rivelazione incominciai a provare una certa simpatia per quella donna. Quasi senza accorgermene appoggiai una mano sulla sua e l'accarezzai.
- Non si preoccupi è tutto finito. - la rassicurai. - Ho conosciuto persone che di fronte ad avvenimenti gravi si sono rinchiuse in sé stesse costruendosi attorno una fortezza inespugnabile. Avevano l'impressione che nella loro vita nulla avrebbe più avuto senso, finendo col passare, senza accorgersene, accanto ad altre occasioni che avrebbero potuto cambiargli vita. Non faccia lo stesso errore, torni a vivere con la determinazione di chi ha ancora tanto da gioire.
Pronunciai quelle parole con una tale enfasi che, senza accorgermene, iniziai a stringerle la mano.
- La ringrazio per le sue belle parole, sono contenta che sia stato lei a prendersi cura della mia persona. Non so come fare per ringraziarla. - mi interruppe sorridendo.
Probabilmente accostando la mano sulla sua mi spinsi ben al di là delle mie competenze mediche. Ma il modo con cui si era rivolta a me mi fece scoprire un lato nascosto della sua personalità solo all'apparenza sobria.
Andai avanti a redigere la cartella clinica annotando la storia delle sue malattie e quelle dei genitori. Le analisi di funzionalità epatica e la ricerca di eventuali virus diedero esito negativo. Decisi che l'avrei dimessa dal reparto dopo qualche giorno una volta sottoposta alla visita di un neuropsichiatra.
Nei giorni seguenti il nostro rapporto si fece ancora più amichevole, mi confidò che il marito era venuto a trovarla in ospedale e che, di comune accordo, avevano deciso di separarsi.
L'idea che mi ero fatto di Elena era di una donna intelligente, con una forte personalità, ma che in un momento di difficoltà era crollata correndo il rischio di togliersi la vita.
- Domani mattina la dimetto. - dissi entrando nella sua stanza.
- Stanotte, durante il turno di guardia, le preparerò la lettera di dimissioni. Una volta fuori da qui dovrà consegnarla al suo medico di famiglia, va bene?
Quella sera cenai nella stanza del medico di guardia anziché nella cucina del reparto come sono solito fare. Stavo seduto alla scrivania, intento a leggere dei documenti, quando sentii bussare alla porta.
- Posso entrare?
La voce era quella di una donna. Pensai si trattasse di una delle infermiera.
- Avanti! E' aperto.
Sulla soglia apparve Elena. Indossava una vestaglia in nylon trasparente che lasciava intravedere la pelle nuda.
- Sono venuta a salutarla. Domani non avrò occasione di vederla. Voglio ringraziarla per quanto ha fatto per me. Non so come sdebitarmi con lei.
- Non si preoccupi, è il mio lavoro. Sono pagato per questo.
- Non è vero, lei ha fatto molto più di quanto le competeva.
Mentre pronunciava quelle parole mi sembrò di scorgere sul suo volto i medesimi lineamenti della mia Giovanna. Preso da un raptus e lusingato dalle sue attenzioni mi alzai dalla poltroncina, le cinsi la vita, e la baciai.
- Stiamo entrando in acque molto agitate. - disse quando mi staccai dalle sue labbra.
- Lo so. - risposi.
- Sono felice quando posso stare dove voglio.
- E sei felice ora?
- Sì.
La vestaglia che le copriva le nudità cadde ai suoi pedi insieme alla sottoveste. Le forme del suo corpo erano di una naturale bellezza. Le accarezzai il viso scostandole i capelli di lato. Gli occhi iniziarono a brillare con una certa intensità. Una lacrima le scese lungo la guancia. La strinsi forte al petto e le carezzai il capo. Lei, a sua volta, cinse le mani attorno alla mia schiena e si aggrappò a me, poi iniziò a piangere a singhiozzo.
Per la prima volta, dopo i giorni trascorsi in ospedale, stava liberandosi del peso che si portava dentro.
- Scusami. - sussurrò, a voce bassa, mettendo in evidenza l'angoscia di cui era prigioniera.
- Non ti preoccupare, ci sono io vicino a te.
Accostati il suo viso fra le mani e l'accarezzai, poi la baciai sulle labbra. Il sapore salato delle gocce di pianto si mescolarono al gusto mielato della sua bocca. Dopo lo sfogo di pianto la sentii stringersi addosso al mio corpo e le nostre labbra si congiunsero in un bacio appassionato. Penetrai la sua bocca con la lingua assaporando la morbida parete del palato. Lei contraccambiò il mio movimento incrociando la lingua con la mia, titillandola l'una contro l'altra, riempiendomi di brividi caldi.
Ho sempre misurato l'intensità di una passione in rapporto al piacere che sa trasmettermi un bacio. Quella sera, forse per colpa della strana circostanza, rimasi estasiato dal calore delle sue labbra. Lasciai cadere una mano sul ventre della mia ospite. Passando attraverso l'elastico delle mutandine sfiorai i peli del pube impastati d'umore. Lei andò a cercare la cinghia dei miei pantaloni che rovinarono sul pavimento insieme alle mutande. Il cazzo, liberato dalla costrizione degli indumenti rimase sospeso a mezz'aria. Fu svelta ad afferrarlo fra le dita. Si scostò dall'abbraccio e rivolse lo sguardo in basso al mio uccello, poi si strinse a me.
Il tocco della mano sull'uccello aumentò il mio desiderio di possederla. Andai a sedermi su di una seggiola e trascinai Elena sulle mie ginocchia. Mi ritrovai davanti agli occhi le tette e calai le labbra sui capezzoli impastandoli di saliva. Il tocco della lingua le provocò un certo turbamento. S'inarcò all'indietro con la schiena e cominciò a mugolare di piacere.
Aiutandomi con la mano seppellii l'uccello nella fica. Le abbrancai le natiche e le attirai con forza verso di me premendo la punta dell'uccello sul fondo della fica. Elena accompagnò i miei movimenti toccandosi le tette, lasciandosi andare a una serie di mugolii di piacere. Nel momento in cui raggiunse l'orgasmo gridò:
- Vengo!... Vengo!...
Venni anch'io, subito dopo, appena in tempo per estrarre l'uccello prima che lo sperma si depositasse nel fondo della fica. Scaricai il seme sul suo addome dopodiché ci abbracciammo per alcuni istanti.
Uno squillo del telefono interruppe l'idilliaco momento. Allungai la mano verso scrivania e afferrai la cornetta del telefono.
- Dottore, è arrivato un ricovero. - disse una voce femminile.
- Vengo subito. Conduca il paziente in infermeria.
Ci separammo in tutta fretta raccogliendo entrambi gli abiti dal pavimento.
- Mi ha fatto piacere stare con te. - disse.
- Anche a me.
- Quando sarò dimessa spero di risentirti, ci conto, eh!
- Sì, certo. - promisi.
- Sarò io a cercarti. Ho bisogno di tempo, devo mettere ordine nella mia vita.
Le diedi un ultimo bacio e mi allontanai.

Trascorsero alcune settimane senza che Elena si facesse sentire. Infine presi la decisione di telefonarle, trasgredendo alla promessa che le avevo fatto, ma al telefono non rispose nessuno. Una sera una voce femminile si fece viva all'altro capo del filo.
- Ciao, Elena, sono Marco come stai?
- Non sono Elena, sono la madre. Elena non c'è più... Elena è morta.
Elena si era tolta la vita gettandosi dal balcone della propria abitazione pochi giorni dopo essere stata dimessa dall'ospedale.

 
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