L'uomo che amava le donne brutte, di Farfallina

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<Jocker>
view post Posted on 1/4/2012, 09:08     +1   -1




Ada, Adriana, Agata, Alice, Amelia, Anna, Artemia, Ave... sono nomi di donna solo all'apparenza insignificanti, ma indispensabili per identificare quelle donne con cui, nei trent'anni di permanenza in questa città, ho fatto del sesso. L'intera lista ne abbraccia poco più di un migliaio. Di alcune mi è rimasto soltanto un flebile ricordo, di altre ho bene impresso nella memoria il viso e l'anatomia del loro corpo. Con parecchie di queste donne ho mantenuto rapporti di sesso fino a qualche mese fa quando, mio malgrado, sono stato costretto a interrompere ogni tipo di relazione. Vi stupirò dicendovi, in confidenza, che una particolare affinità accomuna tutte queste donne e sapete cos'è? La deformità dei loro corpi.
La parola "brutto" è un termine a cui siamo soliti ricorrere per indicare qualcosa di sgradevole alla nostra vista, ma nel caso in cui la locuzione viene rivolta a una donna allora assume un valore e un significato ancora più spregevole.
E' mia opinione che le donne brutte, magari con qualche difetto fisico, contrariamente a quanto si è portati a credere, siano molto più ricche di charme e di pregi rispetto alle donne carine. Una di queste virtù è la disponibilità che hanno nel consacrarsi all'uomo che le circonda di attenzioni. Spesso mi è stato sufficiente gratificarle con uno sguardo compiacente, una parola, un complimento, per ottenere da loro ciò che da una donna bella non sarei mai riuscito a ottenere, perché queste ultime sono vanitose e troppo inclini a ostentare la loro bellezza.
La donna brutta, al contrario, è desiderosa di darsi ed è paga quando viene gratifica con un qualsiasi complimento. Queste considerazioni potrebbero apparire insufficienti per legittimare il numero di donne brutte con cui ho intrecciato relazioni, ma posso assicurarvi che è la sacrosanta verità. Avvicinarle è stato relativamente facile, in questo sono stato agevolato dalla attività di medico che mi impone di ascoltare e placare i bisogni delle pazienti affidatemi dal Servizio Sanitario Nazionale.
Ho seguitato a fare l'amore due e anche tre volte al giorno con donne diverse per parecchi anni, senza mai stancarmi, scopando, inculando e facendomi spompinare il cazzo. Ho esercitato questa attività, complementare ai miei doveri di medico, senza trascurare le patologie di cui erano affette le mie clienti, prediligendo curarle attraverso la conoscenza carnale dei loro corpi piuttosto che facendo ricorso alle cure tradizionali, somministrando la migliore delle medicine che avevo a disposizione: il mio sperma.
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ANNA

E' una tipa mingherlina, all'apparenza gracile e disarmonica nelle forme del corpo, ma non per questo insignificante. Quando l'ho conosciuta lavorava come impiegata presso un ufficio notarile distante pochi isolati da Piazza Garibaldi. Una sera, mentre ero intento a visitare una paziente in ambulatorio, fui raggiunto da una sua telefonata. Lamentava violenti dolori all'addome associati a nausea e vomito. Terminate le visite in ambulatorio mi recai nella sua abitazione per somministrarle la medicina di cui aveva urgente bisogno, infatti, conversando con lei al telefono pareva certa che sarei riuscito a lenire, in qualche modo, il dolore che accusava al basso ventre.
Abitava al quarto piano di un'elegante palazzina di Viale Campanini, uno dei quartieri più signorili della città. Si presentò sulla soglia di casa con indosso una vestaglia di seta rosa, semiaperta sul davanti, indumento che lasciava intravedere la pelle nuda e un top di pizzo nero.
- Sto male, dottore. - disse quando mi trovai in sua compagnia nella stanza da letto.
- Si sdrai sul letto. Voglio dare un'occhiata all'addome.
In un battere d'occhio si liberò della vestaglia e del reggiseno rimanendo con le sole mutandine addosso. Abituato ad avere a che fare con le donne sapevo che ogni scusa era buona per mettersi nude mentre le visitavo.
- Sente male? - dissi tastandole il fegato sotto l'arcata costale di destra.
- No dottore.
- E qui? - proseguii nella visita premendo le dita in corrispondenza della milza.
- No, dottore sento male più giù.
- Ah!
Abbassò le mutandine e le fece scivolare sulle ginocchia, poi con un gesto del mento indicò i peli ricci che sovrastavano il pube. Dubbioso sul da farsi ripresi a esplorare l'addome con l'intenzione di portare a termine la visita, ma fu lesta a deporre una mano sulla mia e trascinarla sulla figa. Le secrezioni umorali mi impiastricciarono le dita e mi fu chiaro quali fossero i suoi propositi, anche se non avevo dubbi sull'origine del male che l'affliggeva. Girai il capo in direzione dei capezzoli appuntiti che si ergevano sul petto ed evitai accuratamente di guardarla in viso. La deontologia professionale avrebbe dovuto impormi di allontanarmi, senza farmi traviare dalle lusinghe di quel corpo femminile, ma il cazzo prese a pulsarmi sotto i pantaloni e non ebbi alcuna esitazione.
Poco importava se la donna era brutta e anche un po' puttana, ciò che la rendeva interessante ai miei occhi erano i modi con cui mi stava seducendo. Le fu facile schiudermi la cerniera dei pantaloni, impadronirsi del cazzo e stringerlo fra le labbra senza che opponessi alcuna resistenza. Mentre mi spompinava mi fu chiaro qual era il medicamento di cui aveva bisogno per lenire i dolori di pancia. Poco dopo gliene schizzai in bocca una grande quantità.
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BERTA

Casalinga, sposata senza prole, trascorreva le giornate visitando negozi, supermercati e mercatini rionali. Una volta al mese era solita presentarsi in ambulatorio per sottoporsi a visita delle mammelle. Ossessionata dall'idea d'essere vittima predestinata di un tumore al seno, aveva cominciato poco più che ventenne a fare l'autopalpazione delle mammelle, ma non si fidava delle proprie mani e voleva che fossi io a palpargliele. A distanza di anni mi sorge il dubbio che si fosse trattato soltanto di una miserabile messinscena perché la palpassi.
Le mammelle erano l'unica parte del suo corpo degne di attenzione. Di forma simmetrica e per niente pendule, le esibiva come fossero un prezioso ornamento del corpo. Nell'incavo che separava le tette avevo provveduto, in più di un'occasione, a introdurre il cazzo e godere dello sfregamento della mia carne sulla sua. Ero solito fare scorrere il cazzo inumidendolo con la saliva che lei stessa sputava, copiosa, nell'avvallamento fra i seni. A me non restava altro da fare che riempirle la bocca di sperma.
Ingoiare il seme era tutto ciò che desiderava. In tanti anni di frequentazione non sono mai riuscito a metterglielo nella figa o nel culo nonostante le mie insistenze.
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CLAUDIA

Adorava i clisteri, ma soprattutto le piaceva prenderlo nel culo. Conservava l'addome perennemente gonfio compiacendosi quando poteva lasciarsi sfuggire qualche odoroso peto. L'unico rimedio che avevo a disposizione per restituirle la salute, e di sicuro effetto, fu di penetrarla indifferentemente nel culo o nella figa. Prima però provvedevo a farle confluire almeno due litri di acqua tiepida, mista a sapone di Marsiglia, nel suo bel culetto.
Il culo, all'opposto del viso, era un bisou. Tutto il fondo schiena era spudoratamente sublime e gradevole da vedere e toccare. Adoravo stringerle i fianchi con le mani mentre l'inculavo o le ficcavo, alternativamente, il cazzo nella passera. E' un peccato che abbia sposato un pompiere. Da allora, infatti, non venne più in ambulatorio. A volte mi perdo a pensare cosa le avrà propinato nel culo quel dannato vigile del fuoco.
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DORIANA

Era scianca, la poliomielite l'aveva resa handicappata fin da bambina e questo la condizionava nei movimenti. Bella di viso era solita spostarsi da un posto all'altro aiutandosi con le grucce. Guidava l'automobile e di mestiere faceva la pubblicista. Capitava in ambulatorio verso l'ora di chiusura. Silenziosa e riservata se ne stava seduta in anticamera a leggere un libro nell'attesa che la visitassi. Mi ha sedotto con le labbra.
Le più belle succhiate di cazzo me le ha fatte lei. Ho ancora scolpito nella mente le innumerevoli volte che le mie gambe hanno tremato davanti alla sua bocca mentre le sborravo fra le labbra, nessuna donna è riuscita farmi godere con le labbra quanto lei. Forse non ci crederete, ma penso che il merito sia da attribuire alle ridottissime dimensioni della bocca, così minuscola da avvolgere a fatica il mio cazzo!
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ELEONORA

- Dottore faccio bene a mettere il piercing nella passera?
Eleonora pronunciò questa frase il giorno che si presentò per la prima volta in ambulatorio. Poco più che ventenne, pelle e ossa, aveva una gran voglia di mostrarmi la figa. Senza che glielo chiedessi si liberò delle mutandine e andò a coricarsi sul lettino dell'ambulatorio, divaricò le gambe, e mostrò il fiore che teneva fra le cosce.
Le labbra della figa erano esuberanti e si prestavano ad accogliere il piercing. Fu lei a guidare la mia mano sul clitoride inducendomi a toccarlo. Strinsi fra le dita il piccolo corpo erettile e mi ritrovai a masturbarla, lo stesso accadde in numerose altre occasioni. Dopo la prima volta continuò a presentarsi in ambulatorio. Rivolgendosi a me pronunciò sempre la medesima frase:
- Dottore faccio bene a mettere il piercing nella passera?
Non diedi mai risposta alla sua domanda. Provvedevo a masturbarla rimandando la decisione del piercing alla visita successiva. Col tempo prese confidenza e iniziò a masturbarmi pure lei, ma non accettò mai di farsi penetrare, poi il piercing passò di moda e non la vidi più.
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FRANCA

La contessa Filberti, presidentessa della associazione "Amici dei gatti randagi", abitava a pochi isolati dal mio ambulatorio. Una sera si presentò nel mio studio con in braccio uno dei suoi felini.
- Mi aiuti dottore. Lucio ha una zampa spezzata.
- Mi spiace, ma non faccio il veterinario.
- Lo so, ma lei ne capisce più di me anche di veterinaria. Gliene sarò eternamente grata.
A una donna ricca e vedova non potevo opporre un rifiuto. Il gatto, per fortuna, non aveva nessun tipo di frattura, il dolore di cui pativa era causato da una scheggia di legno conficcata nella zampa. Fu sufficiente toglierla con uno specillo e una pinza chirurgica. Dopo alcuni giorni l'arto riprese la sua normale motilità. La contessa Filiberti, riconoscente, mi invitò a cena a casa sua.
Distinta e raffinata, anche se brutta come una strega, mi fece conoscere la camera che aveva appositamente adibito a stanza delle torture. Le piaceva essere seviziata. L'armadio di rovere, posto a lato del letto nella camera, conteneva vari tipi di staffile e scudisci e persino verghe. Godeva nell'essere flagellata e fustigata. Vedendola con in braccio uno di quei piccoli gatti, nessuno avrebbe pensato a lei come a una donna dedita a ogni genere di perversione. Quella sera ebbe un liberatorio orgasmo sotto l'effetto delle sculacciate che le diedi col palmo della mano, poi la picchiai con uno scudiscio fino a farle sanguinare le natiche, dopodiché la inculai.
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GIOVANNA

Di professione macellaia adorava essere scopata nei giorni del mestruo. Una volta al mese veniva a trovarmi in ambulatorio, si accomodava in sala d'aspetto e restava in attesa che la ricevessi. Al seguito mi portava in dono un involucro con del filetto di manzo, ed era un modo tutto suo per esprimere la riconoscenza che aveva nei miei riguardi per le attenzioni di cui la facevo partecipe.
Pesava all'incirca centocinquanta chili e li dimostrava tutti, nonostante distribuisse la massa di grasso su uno scheletro molto sviluppato. Le gote vispe, di colore rosato, contribuivano a darle una aspetto gioioso e rasserenante. Fra tutte le amanti era l'unica a chiedermi di essere scopata esclusivamente in quei giorni, le altre si vergognavano a farlo, lei no, anzi, non vedeva l'ora d'essere penetrata!
Abbiamo continuato per anni a incontrarci, interrompendo la relazione nei periodi di gestazione dei tre figli, di cui, per ovvi motivi, non potevo essere il padre, poi una menopausa precoce, sopravvenuta quando aveva poco meno di quarant'anni, interruppe il nostro rapporto
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ILARIA


La conosco da una vita. Da ragazza era solita venire in ambulatorio accompagnata dalla madre. Timida e riservata, era affetta da una grave malattia della pelle caratterizzata da comedoni e profonde pustole che le deturpavano il viso. Nessun dermatologo era riuscito a debellare la malattia.
L'ho vista crescere e diventare donna angosciata per questa affezione cutanea. Il giorno che andò a discutere la tesi, laureandosi in Economia e Commercio con 110 e lode, si presentò in ambulatorio da sola, senza madre. Contrariamente al solito non mi chiese la ricetta della pomata che ero solito prescriverle nei periodi in cui aveva una recrudescenza della malattia. Quel giorno non ebbe alcun imbarazzo nel chiedermi se era vero che lo sperma poteva servire a eliminare i piccoli crateri che le deturpavano il viso. Rimasi sorpreso da quella domanda, ormai non potevo più considerarla una bimba indifesa e ingenua e mentii dicendole di sì.
Il trattamento si trascinò per alcuni mesi e durò parecchie sedute. In quelle occasioni provvedeva lei stessa a masturbarmi depositando sulla cute il prezioso impiastro, senza ottenere apprezzabili risultati. L'epidermide, nonostante il trattamento, rimase quella che era, tant'è che un bel giorno interruppe le sedute e per molto tempo non la rividi più. Qualche anno più tardi l'incontrai per strada. Spingeva una carrozzella in compagnia di un uomo. I due confabulavano e ridevano, forse felici: il viso era rimasto il medesimo.
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LINA e MICHELA

Fare l'amore con due gemelle, ammucchiati nello stesso letto, è un tipo d'esperienza che pochi uomini possono vantare. A me è successo di scopare Lina e Michela in più di un'occasione. La prima volta accadde quando mi invitarono a casa loro per partecipare a una festa di compleanno. Quando ricevetti il loro invito mi sembrò di toccare il cielo con un dito. Stare in compagnia di due donne brutte e malfatte, identiche una all'altra, era quanto di meglio poteva capitarmi.
Mi presentai a casa loro con la voglia di scoparle entrambi. Il passaggio dal salotto, dove festeggiammo il compleanno, al letto fu breve. Continuai per diversi anni a frequentarle, andavo a farle visita almeno una volta alla settimana. Lo facevo di sera, terminate le visite in ambulatorio. Cenavo con loro, guardavamo un po' di tivù, poi tutti e tre andavamo a dormire nel letto di una delle due facendo sesso fino all'alba, senza un attimo di tregua. A distanza di tempo posso confessare di non essere mai riuscito a distinguerle una dall'altra, specie a letto. I loro corpi erano identici come due gocce d'acqua. Mi piaceva masturbarmi quando decidevano di fare sesso fra loro due escludendomi dal gioco, osservarle mentre si toccavano era quanto di meglio potesse capitarmi.
La deontologia medica di cui spesso menavo gran vanto avrebbe dovuto impormi di biasimare quel tipo d'incesto, ma in quei momenti non mi sentivo di condannarle e nemmeno colpevole di guardarle, anzi! Godevo come un riccio mentre si adoperavano con la lingua nel penetrare ogni anfratto del corpo dell'altra.
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NUCCIA

E' una donna bassa e tarchiata con sovrabbondanza di grassi nel tessuto sottocutaneo. Gestisce una lavanderia a secco con annessa stireria. Porta avanti la ditta senza l'aiuto di lavoranti arrangiandosi da sé. Il negozio è ubicato all'inizio di Via Bergonzani. Lì, fino a qualche mese fa, ero solito recarmi ogni fine settimana portandole da lavare pantaloni e camice. Ogni volta che le allungavo i panni da lavare l'ispezionava con cura, uno per volta, divorando con gli occhi la patta delle braghe, probabilmente interessata alle tracce di sperma che senza alcun riguardo lasciavo di continuo sul tessuto. Sapevo che si eccitava nello strofinare quelle macchie.
Più tardi, infatti, mi confessò che prima di metterle nel cestello della lavatrice si dilettava a leccarle, assaporando i residui sapori di sperma intrisi nel tessuto. Ero solito scoparla stando ritto in piedi, tenendola sollevata, avvinghiata a me, con la forza delle braccia, puntellandomi con la schiena alla lavatrice industriale che faceva bella mostra nel negozio.
Facevamo l'amore dietro la lavabiancheria, mentre la macchina provvedeva alla lavatura dei panni. Entrambi ambivamo a raggiungere l'orgasmo nel momento in cui la lavatrice sarebbe andata in centrifuga e il più delle volte ci riuscivamo.
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ORIETTA

Cantante lirica di professione è un mezzosoprano dotato di grande intensità vocale. Ha calcato i palcoscenici dei più importanti teatri lirici, ma nel condominio dove abita è famosa più per le grida che le escono dalla gola, all'apice dell'orgasmo, piuttosto che per gli acuti che emette quando si esibisce nei teatri lirici.
Allarmata da una lieve infiammazione della mucosa del laringe, probabilmente causata da un colpo di freddo, si presentò allarmata nel mio ambulatorio. Si trattava di una banale affezione causata dal clima umido e dalla nebbia di cui è ricca la pianura del Po. La flogosi aveva tutta l'aria di comprometterne l'attività. Soltanto qualche giorno più tardi avrebbe dovuto esordire al Teatro Regio nella prima di Turandot e in quelle condizioni non avrebbe potuto farlo.
Azzeccai la cura prescrivendole una serie di aerosol con del Fluimucil e dello sciroppo anticatarrale. Nel giro di due soli giorni la gola tornò a essere libera, ma non lo fui più io. Cominciai a frequentare con assiduità la sua casa, intrattenendomi a fare del sesso. Ogni volta che discendevo le scale, dopo essere rimasto in sua compagnia, avevo l'impressione che gli inquilini dello stabile, incontrati per le scale o nel cortile, mi additassero come la causa delle urla che li teneva svegli nelle calde sere d'estate e un po' meno in quelle d'inverno.
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PAOLA

I sofferenti di malattie croniche debilitanti sono persone che più di chiunque altro soggetto sopportano il peso delle sofferenze. All'opposto ci sono gruppi di uomini e donne che somatizzano ogni tipo di malattia portandosi appresso un profondo malessere. Paola era una di queste persone.
Lavorava come impiegata all'agenzia della Cassa di Rurale Padana di Piazza Picelli. Addetta a uno dei tre sportelli era perennemente a contatto col pubblico. Maneggiava migliaia di banconote e questo le procurava un profondo disagio. Era persuasa che il semplice contatto con la cartamoneta le avrebbe fatto contrarre una grave malattia. Fui abile nel convincerla che il modo migliore per guarirla dalla fobia era quello di trovare piacere, anche sessuale, nell'avere per le mani delle banconote. Misi in piedi una piece che sarebbe servita ad avvalorare la mia tesi.
Una mattina, di buon ora, mi recai allo sportello della banca dove operava, compilai un assegno e l'obbligai a consegnarmi dieci mazzi di banconote da dieci euro per un totale di diecimila euro. La sera stessa mi presentai a casa sua con il malloppo di denaro custodito in una valigetta 24 ore.
Come precedentemente concordato si sdraiò nuda sul letto e le gettai sulla pelle manciate di denaro come avevo visto fare in un vecchio film bianco e nero con protagonista una giovanile Catherine Spaak, poi la penetrai di dietro, nel culo. Ripetemmo il rituale per molto tempo, ogni volta provvedeva a rimettere i soldi che le davo nel mio conto corrente e io mi occupavo di ricoprirla di denaro e di qualcosa d'altro.
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REBECCA

Era solita esibire le unghie di mani e piedi dipinti con sfumature abbacinanti, ma di colorato non aveva soltanto quelle parti del corpo. Sotto gli indumenti serbava dei disegni erotici dipinti sull'addome e nella schiena. Non si trattava di tatuaggi, bensì di affreschi colorati con pigmenti alimentari che in poco tempo erano assorbiti dalla cute o addirittura leccati via dalla pelle con la saliva. Mi capitò di vedere quei dipinti il giorno che venne a farmi visita in ambulatorio e si spogliò. Avrei dovuto visitarle l'addome, ma quando vidi quei disegni la cosa mi mandò in estasi, lo stesso accadde le volte successive. Non ho mai saputo chi fosse l'autore di quei dipinti.
Pareva impossibile che una donna tanto bizzarra potesse nascondere una simile bellezza sotto le vesti. Stavo bene in sua compagnia, ma non altrettanto lei con me, probabilmente ero troppo maschilista e ordinario per i suoi gusti, così dopo un mese che c'incontravamo non volle più saperne di stare con me.
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STEFANIA

Diceva di darla a cani e porci e di avere una fottuta paura di rimanere contagiata da qualche malattia sessuale, anche se a suo dire era solita fare indossare il preservativo agli occasionali partner che raccattava andando in giro nelle birreria e nei pub, ma nonostante questo tipo di prevenzione le rimaneva addosso una dannata paura.
Dubitai che le sue affermazioni fossero vere, brutta com'era difficilmente poteva attirare su di sé le attenzioni di tanti giovani maschi come raccontava. Erano invenzioni le sue, menzogne raccontate per essere al centro dell'attenzione e comunicarmi la voglia, mai sopita, di essere penetrata da qualcuno.
Dopo una visita ginecologica, constati che la membrana dell'imene le avvolgeva ancora l'orifizio esterno della vagina e ne faceva una donna vergine. Mi prodigai per sverginarla, ma non ci fu verso di possederla. Si fece invece inculare e proseguii a farlo per parecchio tempo godendo dello stretto buco che mi metteva a disposizione, ma non riuscii mai a chiavarla nella figa a causa della maledetta paura che aveva di rimanere incinta. Un bel giorno, dopo mesi che non la vedevo, si presentò in ambulatorio col pancione. Era gravida e poco tempo dopo mise alla luce un bel maschietto. Successivamente venne a trovarmi in ambulatorio e io prosegui a incularla come avevo fatto in precedenza.
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TIZIANA

Il piccolo Yorkshire che si portava appresso fu ucciso da un cane dieci volte più grande di lui. Un mastino napoletano lo addentò quando si mise a difesa di una bambina di sette anni che stava per essere azzannata da quest'ultimo. Lo Yorkshire fece da scudo alla bimba dandole il tempo di scappare e ripararsi dall'aggressore. Tiziana, sconvolta, ne raccolse le spoglie senza vita e le attirò al petto scoppiando in un pianto dirotto. Fui testimone occasionale della scena mentre transitavo sul marciapiede sul lato opposto della strada. Mi prodigai nel darle conforto e l'accompagnai a casa.
La sera stessa, prima di seppellire la carcassa del cagnolino, me la portai a letto dandole un poco del mio seme nella figa. Tommy, così si chiamava il piccolo animale, rimase per tutto il tempo del coito ai piedi del letto, dentro una scatola di cartone che avevo raccattato nel bidone della spazzatura. Il mattino seguente lo seppellimmo nel giardino della villa in cui Tiziana abitava. Dopo quella triste circostanza non la vidi più.
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UMBERTA

Gestiva un chiosco di granite e frullati tropicali in Piazza Matteotti. Capitai lì per caso, in una calda sera d'agosto. Ordinai un drink a base di papaia e lo consumai chiacchierando con lei. Fra noi si scatenò una reciproca attrazione sessuale che ci portò, dopo la chiusura del casotto, a fare sesso nel ripostiglio sotto il bersò situato nella parte retrostante del chiosco. Un profondo desiderio sessuale ci colse entrambi, ma non lo provocò l'alta temperatura della notte o la freschezza di quel succo di frutta fonte di vitamine, carboidrati e clorofilla che mi ritrovai a bere.
Ricordo invece che il desiderio di scoparla nacque nel momento in cui vidi le pupille dei suoi occhi. Erano strabici. Ci ritrovammo a morderci la pelle come due assatanati restando in piedi nel deposito di bibite fra rimasugli di ogni tipo. Fu una delle più belle scopate della mia vita. Alla fine gli rimasero solo gli occhi per piangere, perché così come ero venuto me ne andai e non tornai più da lei.
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VANESSA

E' una delle poche donne non brutte con cui ho fatto l'amore, strano a dirsi ma questa è la ragione per cui mi ritrovo rinchiuso qui, in carcere. L'ho conosciuta poche sere fa a una serata di gala promossa dalla Croce Rossa. Lei era lì insieme a tante altre donne e si adoperava a fare gli onori di casa. Abbiamo ballato per gran parte della sera, poi a tarda ora mi ha invitato ad andare a casa sua.
Non immaginavo che avremmo fatto l'amore in maniera poco convenzionale, non mi sembrava il tipo di donna dedita al bondage. Appena a letto si è accanita su di me prodigandosi nella tortura dei testicoli, strizzandomeli con le dita. Strano a dirsi, ma ho provato un inusitato piacere nel sentirli maneggiati uno per volta dalle sue dita, schiacciati con delicatezza al limite fra il dolore e una dolce sensazione di piacere. Prima però aveva provveduto a introdurmi un anello di gomma dura attorno al cazzo provocandomi una costrizione notevole e dolorosa, poi si era accanita nel pizzicarmi con arnesi di tortura glande e prepuzio.
Ho avuto paura. Sarei voluto scappare, ma la cosa mi eccitava. Stavo scoprendo un mondo tutto nuovo con sensazioni che non avevo mai provato prima. Quando l'ho penetrata ha voluto che le infilassi nel capo un sacchetto di plastica trasparente. Doveva servire, a suo dire, ad acuire la sensazione di dolore piacere derivate dal coito, ma quando ho visto il suo bel viso mutare d'aspetto per la mancanza d'ossigeno e abbruttirsi, allora ho ritrovato il solito piacere per le cose brutte. Ho stretto la plastica attorno al collo e sono venuto dentro di lei sborrandole nella figa mentre aveva già cessato di emettere l'ultimo respiro.
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ZAIRA

Di mestiere fa l'avvocato, sarà lei a difendermi in Corte d'Assise quando mi presenterò in tribunale per essere giudicato. E' brutta e zitella, sono certo che troverò in lei una degna alleata e magari fra qualche anno quando uscirò di galera...


 
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view post Posted on 2/12/2015, 11:10     +1   -1
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