CAMPANELLO D’ALLARME, dal web

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<Jocker>
view post Posted on 15/3/2012, 21:15     +1   -1




«Signorina, io fossi in lei non suonerei a quella porta…».
Il dito indice di Camilla restò sospeso a mezz’aria, a pochi millimetri dal campanello.

E adesso, quella vecchia, che cosa voleva da lei? Da dove era saltata fuori? Come se la giornata non fosse già abbastanza difficile… La ragazza ignorò il consiglio, continuando a fissare la targhetta d’ottone e quel cognome “De Rossi” che, fino al giorno prima, non le avrebbe detto assolutamente nulla.
Aveva ancora il fiatone. Per le scale, certo. Tre piani, quasi di corsa, a voler affrettare una risposta. Tre piani di una casa sconosciuta, anonima e popolare, nella quale entrava per la prima volta. E ad ogni pianerottolo, una breve sosta per riprendere il respiro, e poi la rampa successiva, un po’ meno veloce.
Un po’ meno convinta, soprattutto.
Al terzo, si era guardata intorno, i sensi in allerta per cogliere una risata, un rumore, un indizio. Quattro porte: “Hu”, “Abdelraziz”, “De Rossi”, “Mirandola”.
L’indirizzo era giusto, il cognome corrispondeva. E poi, sotto, c’era la moto. Lui era certamente qui.
Si era avvicinata alla porta. Dall’interno provenivano delle voci. Una femminile.
L’altra, la sua.
Aveva avuto una stretta al cuore. Si accorse che, gradino dopo gradino, aveva perso la determinazione che l’aveva portata lì.
«Lo voglio davvero sapere?», era questo il dubbio che la stava tormentando. «A volte, non sapere è meglio».
Ed era quello che si era ripromessa di fare quando le erano affiorati alla mente i primi sospetti.
«Se lo metto alle strette, lo perdo», si era detta. «Mi lascerà».
«Ti sta già lasciando, cretina», aveva risposto la sua parte razionale.

Camilla odiava la banalità. Anche per questo motivo aveva scelto di studiare alla scuola d’arte e ora faceva uno stage di restauro. Le piaceva andare oltre lo strato più superficiale, spesso dovuto a stili diversi e a interventi successivi. Amava scoprire un dettaglio sotto una mano di pittura, veder riaffiorare un corpo, che l’autore aveva voluto nudo, ma che qualche censore aveva pensato bene di rivestire.
Odiava i luoghi comuni, le ripetizioni, i clichè. Infatti stava bene con Hermann. Tedesco, in Italia per un dottorato su Dante, un ragazzo diverso dagli altri. Profondo, sensibile.
«E stronzo», aggiunse. Anche se magari la stronza era la tipa che l’aveva invitato a casa sua.

Era solo un dettaglio, ma Camilla era infastidita del fatto che la sua storia d’amore “speciale” stesse per finire nel modo più banale: un cellulare e un sms. Le faceva venire in mente un film di cassetta che si era rifiutata di guardare perché troppo superficiale.
Lei non era tipa da indagini segrete, ma proprio ieri non aveva resistito alla tentazione: lui era in doccia e sul suo cellulare era arrivato un messaggio. L’acqua scrosciava in bagno e nuvolette di vapore filtravano da sotto la porta. C’era poco tempo. Aveva preso il cellulare dal comodino.
Un messaggio ricevuto.
Se l’avesse letto, avrebbe saputo. Ma anche lui se ne sarebbe accorto. E avrebbero dovuto giocare a carte scoperte. Se il messaggio fosse stato innocuo, che figura ci avrebbe fatto? Ma se era davvero di un’altra come ormai sospettava?
Anche in quel caso, il suo dito era rimasto sospeso, incerto se premere “ok” o deporre il telefono.

«Signorina, mi scusi se sono invadente. Ma è proprio sicura di voler suonare?».
Ancora la vecchietta! Questa volta Camilla non poté ignorare la voce. Si voltò lentamente pronta a rivendicare il suo diritto di fare come le pareva. Sulla soglia dell’appartamento adiacente a quello in cui voleva fare irruzione, stava una donnina minuta, avvolta in una vestaglia a fiori. Aveva due occhi neri, penetranti, dolci. I capelli un po’ in disordine. Alle sue spalle si intravedeva una casa semplice ma curata.
A Camilla venne in mente una tela che stava restaurando nella chiesa del Crocifisso. Era un dipinto enorme, al quale lavorava stando arrampicata in cima a un ponteggio. Proprio il giorno prima aveva scoperto un bellissimo volto femminile, sepolto da decenni sotto un maldestro rifacimento. Guardò la donna e poi spostò nuovamente lo sguardo sul suo dito ancora alzato davanti al campanello. Abbassò con noncuranza la mano:
«Dice? E che cosa glielo fa credere?».
«E se ne parlassimo dentro?», propose l’anziana, scostandosi dalla soglia.
«Tanto quelli ne avranno per un po’», commentò impietosamente la sua parte razionale.

Hermann era decisamente un bel ragazzo. A vederlo uscire dalla doccia, la pelle chiara arrossata dal caldo dell’acqua, i capelli biondi gocciolanti sulla schiena, Camilla aveva pensato che, se non altro, aveva buon gusto: se lo era scelto proprio bene.
Lui si era sdraiato, ancora umido, sul letto accanto a lei. Sporgendosi da un lato, aveva estratto un pacchetto dalla borsa appoggiata in terra.
«È per te. Spero che ti piace».
«Piaccia», precisò la parte razionale; ma, di fronte alla sorpresa, il sentimento aveva prevalso sulla lezione di grammatica. Aveva aperto il pacchettino e sfoderato davanti ai suoi occhi un paio di slip a fiori, molto primaverili, e un reggiseno combinato.
Lo aveva baciato, per dirgli “grazie”; per dire a se stessa “speriamo non sia vero”.
Ma poi aveva messo in borsa il completo senza provarlo e, scusandosi, era andata via.

«E allora mi sono detta: “Vaffanculo, io lo leggo”. E ho premuto il tasto. Scusi per il “vaffanculo”».
«Si figuri…», la donnina sorrise.
«C’era un messaggio, da un numero non in rubrica; il testo era minimalista: un indirizzo, un cognome, un’ora. Poteva essere anche il dentista, per quello che ne sapevo, ma sentivo che era lei».
Camilla si lasciò andare sulla poltrona; si sentiva meglio, alleggerita di un peso, anche se non riusciva a spiegarsi come fosse arrivata a raccontare la sua vita a una sconosciuta impicciona.
«I dentisti non mandano sms», avanzò l’anziana.
Era esattamente quello che aveva osservato la sua parte razionale.
«Appunto. Comunque ho letto il messaggio, memorizzato l’indirizzo, e poi l’ho cancellato. Cavoli suoi, se gli saltava l’appuntamento, tanto meglio…».
«Invece, non è saltato», puntualizzò l’ospite.
«Già».
«Ancora un po’ di tè, Camilla?».
«No grazie, signora…».
«Che sbadata! Non le ho nemmeno detto il mio nome! Mi chiamo Antonia. Antonia Mirandola. Ma il cognome lo aveva già letto sulla porta».

Le due donne erano sedute nel salotto della casa dell’anziana. Divani un po’ demodè ma ben tenuti, diverse foto alle pareti, pochi ninnoli. In ogni caso, meno di quanti ce ne fossero nella media delle case di pensionati.
«Mi scusi se mi sono permessa di intervenire in maniera così intempestiva», aveva premesso poco prima Antonia facendo strada nel soggiorno. «Ma io la conosco, quella. E, non faccio per vantarmi, ma un po’ conosco anche gli uomini. E sono certa che il suo gesto non avrebbe portato a nulla».
La ragazza aveva sollevato leggermente la schiena e si era sporta in avanti:
«E lei, cosa ne sa?».
In quel preciso momento, attraverso il muro che separava i due appartamenti si era udita chiaramente una risata.
«Vede», osservò l’anziana, «qui le pareti sono così sottili… Si sente tutto».
La risata si era fatta più intima, complice.
Camilla aveva fatto scorrere le mani sulla gonna di jeans, poi sulle cosce, stringendo infine le ginocchia.
«Inoltre», completò maliziosamente Antonia, «le mie giornate sono così noiose. È inevitabile che mi accorga di quello che accade qui accanto».
Camilla si aggiustò sulla poltrona, sembrava quasi che i cuscini scottassero.
«Stia tranquilla. Lui è la prima volta che viene…».
«Grazie», rispose, subito arrossendo, la ragazza.
«E ora, se me lo consente, mi permetta di esporle la mia personale visione dei fatti».
Un cigolio proveniente dalla stanza vicina, indusse la donnina ad entrare nel vivo delle sue argomentazioni senza prolungare troppo quella tortura.
«Dunque, deve sapere che, anche se può ora sembrarle poco credibile, io ho avuto una giovinezza piuttosto vivace. Sessualmente, intendo. E, per dirla tutta, non solo la giovinezza».
Camilla deglutì, ma Antonia non intendeva prendere pause.
«Mi sono tolta le mie soddisfazioni, potremmo dire. Ora, il mio personale convincimento, consolidato da una lunga teoria di corna, tradimenti, scenate e vendette, è che non si debba mai, ripeto mai, rincorrere gli uomini».
«Cosa ti avevo detto?», solidarizzava la parte razionale della ragazza.

I muri, in effetti, erano davvero sottili. Dalla camera da letto proveniva il sonoro di un amplesso in diretta.
Camilla fece per alzarsi.
«Aspetti», la trattenne Antonia. «Capisco il suo disagio, ma posso assicurarle che questa è una scopata grigia. Fa male, certo. Ma non gli darà niente. È ginnastica. Se lei è corsa fin qui, è perché la vostra storia rappresenta qualcosa di serio. E, se può consolarla, le posso testimoniare che due ore fa c’era un altro giovanotto lì dove ora c’è il suo ragazzo. A proposito, come si chiama?».
«Hermann», balbettò Camilla confusa.
«E ieri sera… be’ ieri sera abbiamo fatto le ore piccole, qui!».
La vecchia scoppiò in una sonora risata, che poco a poco contagiò anche Camilla.

«Quindi, lei cosa mi consiglia?». Domandò timidamente la ragazza. «Dovrei perdonarlo, vero?».
La tipa era di quelle dall’orgasmo loudness e i suoi gemiti stavano riempiendo il salotto.
«Ma nemmeno per sogno!», esclamò battagliera la nonnina. «Deve castigarlo!».
Camilla era decisamente persa. Tra i gridolini della sciupauomini (altrui) e la filosofia di vita dell’anziana gaudente, non capiva più cosa dovesse fare.
«Ascolti», riprese Antonia, «non ha con sé qualcosa che lui potrebbe riconoscere subito? Non so, un regalo, un oggetto significativo. Non si preoccupi, sarà mia premura farglielo ritornare al più presto».
La ragazza fissò per alcuni istanti il muro, pensosa.
«Be’, avrei… avrei le mutandine e il reggiseno. Me li ha regalati lui».
«Ieri», aggiunse la sua parte razionale. «E tu, scema, te li sei messi proprio oggi».
«Le dispiacerebbe darmeli?».
Camilla strabuzzò gli occhi.
«Suvvia! Crede che mi imbarazzi a vedere una ragazza spogliarsi? Non mi costringa a raccontarle il mio periodo bisex…».

Sentendo il desiderio di rivalsa fondersi con un sentimento di fiducia nei confronti della bizzarra vecchietta, Camilla si alzò in piedi e si slacciò la camicetta bianca, lasciandola cadere sul divano. I seni erano contenuti da due coppe imbottite. Portò le mani dietro la schiena e slacciò il gancetto. Sfilò il reggiseno e lo porse ad Antonia.
«Complimenti per le puppe!», rise la donna.
La ragazza sorrise mentre sollevava la gonna e abbassava gli slip alle caviglie. Li raccolse e li affidò alla mano tesa della vecchietta.
«Ai miei tempi, quel tipo di depilazione non era ancora in voga», notò Antonia.
Il sorriso si fece più convinto.
Camilla si sedette nuovamente sul divano, tenendo le cosce strette.
Guardò con aria interrogativa la donna che si era alzata e stava prendendo un foglietto e una penna dal mobiletto del telefono.

«Vede», chiarì la nonnina, «se lei avesse suonato, cosa sarebbe accaduto? Avrebbe aperto lei, ovviamente, e avrebbe capito subito la situazione. Avrebbe negato, l’avrebbe costretta ad una scenata sul pianerottolo. Lui non si sarebbe fatto vedere. E lei avrebbe fatto la figura della cretina».
«Esatto!», esclamò concorde la parte razionale della ragazza.
«Invece, noi ora…», Antonia stava scrivendo qualcosa con mano incerta sul foglietto, «gli facciamo una bella sorpresa». Aprì una scatolina delle Pastiglie Leone e prese uno spillo.

«Mi segua», ordinò a Camilla. «Ma prima conviene che ci salutiamo. Dopo non ci sarà tempo, e lei dovrà essere svelta ad allontanarsi. Non si preoccupi per le mutandine, gliele conserverò io qui. Può passare a prenderle quando vuole, a partire da questo pomeriggio».
Le due donne si abbracciarono. La più anziana con un luccichio complice negli occhi; la più giovane decisamente perplessa.
Puntando con lo spillo agli slip il biglietto su cui aveva vergato un tremolante “Per Hermann”, Antonia uscì sul pianerottolo.
Appese reggiseno e mutandine alla maniglia della porta della disinibita vicina e abbracciò nuovamente Camilla.
«E ora, mia cara, lo suoni pure questo campanello. In fondo è venuta qui per questo! Aspetti solo che io abbia chiuso la porta e abbia preso posto dietro lo spioncino».
Camilla tese il dito, negli occhi un’impressione di déjà-vu, accompagnata da una strana sensazione di serenità.
«E poi giù veloce! Mi raccomando…», strizzò l’occhio Antonia, chiudendosi in casa.

Il click della porta raggiunse Camilla tra il secondo e il primo piano.
Le parve anche di sentire un «Ma che cazz…» provenire dal pianerottolo del terzo.
Uscì in strada, salì sul motorino e si diresse al lavoro.

Dopo pochi metri, inchiodò davanti a un negozio di biancheria intima.
«Sarà meglio che mi compri un paio di mutande», ricordò. «Oggi devo lavorare in cima al ponteggio».

 
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